Non è tempo di fare gli eroi
- Autore: Nicolò Papa
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Mussolini aveva la fissa di sbancare interi quartieri. A Roma fece demolire palazzi postrinascimentali, rase al suolo case, trasferì quattromila persone per aprire il corso dei Fori Imperiali da Piazza Venezia al Colosseo. Oltretevere, sacrificò la Spina di Borgo per spalancare via della Conciliazione e consentire la vista della basilica di San Pietro da Castel Sant’Angelo. A Tripoli, voleva far abbattere una moschea, parte delle mura e costruzioni arabe per rendere l’Arco di Marco Aurelio visibile dal porto. È nella capitale libica anni Trenta, che ci porta il romanzo di Nicolò Papa, giovane cooperatore internazionale, “Non è tempo di fare gli eroi”, pubblicato a maggio 2015 da La Corte Editore di Torino (pp. 234, euro 15,90).
Gli italiani sono in Libia dal 1911, l’hanno strappata ai turchi ma mai conquistata davvero, dovendo affrontare la ribellione che infiamma diverse zone del grande territorio oltremare. Una guerra ancora meno fortunata che pure combattono strenuamente, ma senza esito, è quella contro le mosche. Proliferano inarrestabili e a Tripoli è facile distinguere i coloni dagli abitanti locali. I primi sono sempre in lotta contro gli sciami che affollano l’aria, si dannano per cacciarle. Gli arabi non smanacciano, restano a parlare come se niente fosse anche con un insetto sulle labbra, il barracano brulicante di punti neri.
Tra italiani e libici sono sette i personaggi attraverso i quali si sviluppa questo romanzo, il cui avvolgente intreccio narrativo incrocia più di un contenuto storico, sapientemente indicato.
Il maggiore Amedeo è un ufficiale di cavalleria, monarchico fino al midollo ed ora anche fascista, visto che c’è, tanto più che occorre organizzare la sfilata in onore di Mussolini, che viene a celebrare il ritorno di Roma sulla quarta sponda grazie al fascismo. L’aria è tesa, il militare sa che gli africani, pur in difetto di civiltà e intelligenza rispetto agli europei, possono essere molto pericolosi. Una pallottola abissina gli ha attraversato la bocca, spaccandogli i denti, ma senza conseguenze letali.
Abdallah è un colosso, svetta di una spanna sugli arabi. Lo deve alle lontane origini sudanesi, sebbene le unioni degli antenati con le genti berbere del deserto abbiano diluito il nero profondo della pelle. Si sente un guerriero, disprezza i libici perchè non cacciano i deboli italiani.
È ancora bella Farrah, ma non esercita più. Ora gestisce la casa di appuntamenti dove la bellezza straripante dei suoi vent’anni attirava clienti da ogni parte della Tripolitania. Ora sono le ragazze a fare il lavoro. Lei si concede, in gran segreto, solo al ragazzino muto che corre sempre. La intenerisce, la fa sentire bene.
Lui, Mihab, è il capo della banda di piccoletti che guida come un uomo (vivono di furtarelli, elemosine, avanzi). È nato per comandare e non ha paura di niente.
Padre Domenico, il missionario della Chiesa di Santa Maria degli Angeli, è prete per vocazione “speciale” ed è a Tripoli perchè da musicofilo appassionato di Rossini voleva andare nella terra cantata nell’Italiana in Algeri. Pazienza che Tripoli sia ben altro che la capitale berbera, c’è pur sempre il suo coro di bambini indigenti.
Rosario Scopelliti è un carabiniere. Lo chiamano “il Calabrotto”, sempre meglio di un soprannome legato al suo vistoso difetto della vista. Una disfunzione alla tiroide gli ha spalancato un occhio più dell’altro. È che non si sa mai dove stia puntando il suo sguardo. Però è simpatico e generoso con i libici. È piccolino, al contrario di Mario, il collega romano con cui divide il servizio nel Commissariato al porto, alto, magro, il naso appuntito, le mani affilate, un accenno di barba sul mento.
Il maresciallo Gennaro D’Auria è in notevole soprappeso e in Libia non c’è ventilatore che possa aiutare il sottufficiale napoletano dell’Arma ad affrontare le alte temperature senza grondare sudore.
Guido Alvaretti non era mai uscito dai confini nazionali prima di sbarcare a Tripoli, dove proprio non riesce ad ambientarsi. Lo hanno spedito in Libia come inviato in vista dell’arrivo del duce. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto a Sulmona, nelle amate montagne d’Abruzzo, solo che il lavoro da giornalista lo attirava molto e Roma non si trovava male. Vuoi mettere l’Urbe con quella fogna di Tripoli!
Omar al Mukhtar, il beduino ribelle che aveva tenuto testa da solo a un’intera nazione, è un vecchio con la barba, avvolto in una tunica bianca che lo fa sembrare un antico romano. Come ai tempi dei fasti di Roma, gli italiani celebrano la cattura del più irriducibile capo dei ribelli di Cirenaica, portandolo in giro su una camionetta scoperta, in catene, scortato dai bersaglieri e dal generale Graziani in persona.
Alternandosi e a volte agendo insieme, tutti i personaggi ci portano verso un momento fatale (d’invenzione narrativa) delle vicende personali di ciascuno di loro.
Sette personaggi, sette giorni, il tempo decide per tutti: la chiamano “storia”, ma solo dopo che gli eventi si sono consumati.
Non è tempo di fare gli eroi. Nuova ediz.
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