Non ne sapevo niente
- Autore: Ernesto Berretti
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2018
Si chiama Ernesto Berretti, ha cinquant’anni, vive a Civitavecchia, è sottufficiale della Guardia di Finanza, tecnico di canottaggio, ora scrittore esordiente, con una non-fiction che sta portando in giro in affollate presentazioni (“Non ne sapevo niente”, 2018, Oltre Edizioni, Torino, 288 pagine 16 euro). Si presenta su Linkedin come “riflessionista e narratore errante”. Catanese, finanziere nel Servizio Navale del Corpo, nel 1995 è stato uno dei sottufficiali italiani che hanno composto un terzo dei 270 militari del contingente multinazionale dell’Unione di difesa Europea (UEO), impegnato dal 1993 al 1995 a interdire il traffico commerciale da e per la Serbia. Era la Danube Mission UE in Romania.
Alla dissoluzione della Jugoslavia, segui il conflitto armato tra le etnie nei Balcani e dopo l’embargo disposto dall’Onu otto stati Europei, tra i quali l’Italia, fornirono per i tre anni della missione Danubio il personale per l’operazione di polizia doganale di controllo del traffico fluviale, con l’obiettivo di indebolire i miliziani serbi.
Da maggio a dicembre del 1995, Berretti è stato un basco blu della UEO a Calafat, sulle rive del Danubio, nel distretto di Dolj di una Romania che si era appena affrancata dalla dittatura di Ceausescu. Allora, Ernesto e gli altri non erano affatto consapevoli delle ragioni dei conflitti nei Balcani e di quello che c’era oltrecortina. Vigilavano sul rispetto del blocco commerciale imposto per cercare di riportare la pace nei Balcani.
La nostra base era composta da due navi fluviali dismesse, ormeggiate su un’ansa del Danubio. Di quello che accadeva fuori non sapevamo niente.
È un romanzo di riflessione e di confronto. La prima descrive il microcosmo all’interno delle navi Carpati e Oltenita. Il pensiero corre ai familiari lontani, all’Italia. C’è una fase di autocoscienza sul ruolo che si stava giocando e sulle modalità con cui lo si andava svolgendo. Poi la narrazione si apre e guarda all’incontro con la realtà esterna, con la popolazione della città rumena e di quelle intorno. Un mondo diverso, altri valori, altri obiettivi di vita.
Calafat è stretta in un territorio isolato e degradato, a sua volta schiacciato tra il Danubio e la comunità Rom. Era diventata la città del contingente UEO: i primi arrivati avevano dovuto realizzare tutto dal niente, sulle due navi da crociera fluviale adattate a caserma, centro logistico, stazione radar e trasmittente-ricevente.
Quando arriva Ernesto la situazione è migliorata, ma non troppo e si trovano a dividere il territorio circostante con rumeni diffidenti, zingari indomabili e sciami di zanzare assetate di sangue. Non mancano difficoltà, tensioni e qualche dramma, ma ci sono anche parentesi curiose e divertenti.
Proprio le zanzare, grosse come farfalle, sono una delle piaghe che si trova ad affrontare, oltre alla pervasiva puzza d’aglio locale (e quando non diffondevano quella fragranza, uomini e donne “sapevano” di cipolla).
Tutto era nuovo per lui: servizio, località, storia, vicende geopolitiche. È interessante seguire passo dopo passo il suo impatto con l’inedita realtà. Una sorpresa dopo l’altra, continue novità da scoprire ogni giorno, a cominciare dai “mambrucchi”, le blatte, enormi, coraggiose, corsare, che popolano corridoi, cabine, materiali, letti, coperte. Non ci sono solo scarafaggi, vanno e vengono colleghi italiani e stranieri e cominciano a concretizzarsi i rapporti con la gente del posto. In genere, i rumeni pensano che gli italiani siano tutti ricchissimi, che viaggino tutti in Ferrari, con orologi costosi al posto e profumi, bei vestiti, soldi, tanti soldi. Luoghi comuni, ma vallo a dire alle loro donne, che sognano il principe azzurro italiano e gli fanno la posta.
Ci sono identità precise, ognuno e ognuna dotato di una spiccata personalità, con le quali il finanziere basco blu stabilisce rapporti profondi, finché dura la sua permanenza.
A parte Gregor, la blatta-tipo con cui si convince di dover fare amicizia pur di sopravvivere, ci sono Magda che organizza feste e intrattenimenti, Adrian il marinaio rumeno più o meno filosofo, la piccola Agatha e Dana, la camerista ventenne che rassetta la cabina e lava e stira i suoi effetti personali. Gli era apparsa sciatta e molto al di sotto degli standard femminili italici, poi la scopre sotto aspetti diversi.
Quando riparte, la felicità di tornare a casa prevale su tutto, ma sotto c’è anche la tristezza di lasciare quel posto, dove ha imparato a capire la gente che al primo impatto gli era sembrata apatica, trasandata, strafottente, finchè non era subentrata la compassione e più avanti ancora la comprensione. Aveva visto i piccoli affollarsi insistenti intorno ai militari chiedendo soldi soldi, li aveva visti piangere per una cioccolata, ora si scopre gli occhi pieni di lacrime nel lasciare Calafat ai colleghi sopravvenuti a condividere le sue esperienze.
Dice di avere conosciuto “fortunatamente” quella popolazione, di averli compresi, rispettati, ammirati per quanto dovevano superare ogni giorno. Cavolo, quella era la normalità per loro: una vita senza un futuro, se non quella vita.
Nel 25º anniversario dell’UEO Danubio, il libro è dedicato a tutti i militari di quella missione e alla agente di Calafat, anime vere, inconsapevoli, ma orgogliose. E a chi oggi vuole sapere.
Non ne sapevo niente. Serbia 1995, Danube Mission le rivelazioni di un Basco Blu
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