Ombra di plenilunio
- Autore: Elisabetta Zambon
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2017
In questa silloge pregevole, Ombra di plenilunio (Grafiche Stile edizioni, 2017, pp. 64), Elisabetta Zambon esprime nitidamente "l’intelligenza emotiva", come afferma nella prefazione, dando subito al lettore una chiave di lettura. È un ramo della psiche di cui oggi si occupano ampiamente le neuroscienze, ricordiamo il “secondo cervello” posto sotto il diaframma. Ma la poesia, voce dell’intuizione, sa anticipare la scienza di secoli e di millenni. Torna in mente il riferimento dantesco, la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore contenuta nella Vita Nova. Nel celebre verso è delineato il tratto saliente, e rivoluzionario, del Dolce stilnovo: sentire l’anima, di cui la donna è simbolo, in modo profondo e intimo. E Zambon, con il coraggio e il fascino della verità, consegna al lettore la sua anima delicata e ipersensibile, in una forma artistica ricercata nei termini e nelle associazioni verbali. L’anima è sua, ma non soltanto sua: nel legame continuo, simbiotico, tra la psiche e la natura, quest’ultima è sempre specchio del sentire, un fattore di conoscenza e in tal senso le emozioni trasfuse e ritrovate nella terra, nelle acque, nel bosco e nelle stagioni diventano patrimonio comune.
“Ascoltami. / Questo richiamo / scivola leggero / tra il frusciare dell’erba. / Riecheggia / tra i sassi del torrente, / risalendo / sulle pareti di questo cielo / pietrificato / da una luna pallida e distratta.”
Le immagini sono sorrette da archetipi il cui significato, pur nelle varianti particolari, è territorio universale della psiche collettiva. Le lacrime sono affini alla pioggia, sono “lacrime di ghiaccio”, il dolore è appaiato all’inverno, al mondo riarso. La luce del sole è icona del sacro, nella chiesa di san Francesco, ancor più delle immagini sacre che non sono menzionate, non ne abbiamo bisogno.
La luna, amata soprattutto nel plenilunio, è testimone sia dell’atto creativo in cui il sentire e il pensare vengono trasmutati in poesia, sia delle ombre interiori, di sgomenti, assenze, memorie ed errori.
“La poesia è contemplazione, non un surrogato di esperienza. […] Il poeta diventa sacerdote del mistero, sacrificando se stesso sull’altare vuoto dell’invisibile. Tra luce e ombra.”
È quanto afferma la poetessa con intuizione consapevole, ma necessita di un alter ego, la luna appunto, che la renda credibile. È importante chiamare a conferma di sé gli elementi e le presenze del paesaggio (Rilke scrive un saggio illuminante in proposito), in queste pagine sempre accogliente e "materno", protettivo. La natura condivide la solitudine, il freddo affettivo; diventa sguardo e sapere (sapere deriva da sàpere, gustare).
La sofferenza più straziante è sempre carenza d’amore. Zambon scrive la cronaca di un suo amore infelice, da cui apprende la precarietà dell’esistere, l’imperfezione e l’incompiutezza, da accettare come limiti, pedaggio del nostro essere qui. Infatti, chi siamo? Un intero ma:
"Siamo un intero di frammenti, / una lotta contro l’oblio, / una morte vivente, / una scultura abbozzata. / Siamo una sommatoria genetica, / una sinergia di anime arrabbiate ed incompiute, / un’atavica sofferenza, / un relativismo prospettico.”
Certamente un’atavica sofferenza, specie in questa decadenza postmoderna. Ma non è questo l’Uomo Vitruvio di Leonardo, racchiuso nella stella a cinque punte, paradigma della compiutezza, di proporzioni non solamente fisiche, di quanto siamo chiamati a diventare.
Si impara faticosamente a essere organismo armonico, legato nelle parti da leggi di simpatia. L’uomo e la donna visti dall’autrice costituiscono due metà complementari (Jung basa sull’unione maschile femminile tutta la teoria della sua "psicologia analitica"). L’amore, nel suo essere essenziale, è riconoscersi due di uno:
"Io ero come l’acqua, / trasparente e pura, / filtro di luce, / excusatio non petita. / Tu, forte e ombroso, / eri la parte riconoscibile di me. / Io, fugace e schiva, / ero la parte invisibile di te.”
Ma non sappiamo ancora di essere due in uno, lo apprendiamo attraverso il pungolo della sofferenza. Questa è sempre causata dalla presunzione e dalla superbia, peccati inveterati della nostra specie e, si può dirlo senza essere ingiusti, caratteristica più dell’uomo che della donna. Nel “maschile”, raziocinio escludente. Il presumere erroneo trova radice nell’ignoranza e nell’invisibilità, nell’ “ombra”, così chiamata dalla poetessa, e ancora una volta scopriamo la sua affinità con Jung e con Borges (Elogio dell’ombra).
La natura invece si rivela perfetta, inamovibile nei cicli fedeli, permeata da una arcana armonia; insegna la tenacia, la pazienza, la rinascita. Insegna a essere parti di un disegno che la poetessa traduce sulla carta:
“Mi arrampico / fra queste lettere, / per assemblare parole, / per offrire versi / che salgano agli occhi / scanditi da sillabe, / che scendano nel cuore / impregnato di pagine.”
Ed è la missione di scrivere a cesellare, in fine, il libro.
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