Orlando. Storia di un romagnolo partigiano in Piemonte
- Autore: Stefano Sante Cavina
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
La storia partigiana del padre raccontata oltre settant’anni dopo dal figlio scrittore. È dedicato alle nuove generazioni, perché conoscano ed “ai ragazzi e ragazze che si donarono per la nostra libertà”, il libro di Stefano Sante Cavina Orlando. Storia di un romagnolo partigiano in Piemonte, pubblicato nel 2017 dalle Edizioni Moderna di Ravenna (104 pagine, 15 euro).
Antonio Cavina - nome di battaglia Orlando, sui monti attorno a Cherasco - è morto da poco, a marzo del 2019, a 96 anni, ma ancora i quotidiani online lo ritraevano tre anni fa sorridente e in gamba, con al collo il fazzoletto azzurro dei partigiani monarchici, nel 74° anniversario della liberazione di Ravenna. Faentino di Zattaglia, nel dopoguerra si era stabilito e sposato nella città romagnola.
Classe di leva 1923, alla chiamata alle armi nel 1942, in fanteria, aveva chiesto di passare tra i guastatori paracadutisti. Non avendo ottenuto l’idoneità ai lanci, una volta completato l’addestramento si era dovuto disimpegnare nei servizi di autiere, in una divisione di difesa costiera a Ventimiglia. Tornato in Romagna dopo l’armistizio del 1943, aveva cominciato a collaborare con le formazioni partigiane, ma da renitente alla chiamata di leva della Repubblica Sociale era andato incontro all’arresto e alla deportazione in Germania. Qui, addetto ai lavori forzati, era stato notato dai tedeschi per le sue attitudini di autista-meccanico e messo alla guida di un camion tuttofare, sotto il controllo di un militare della riserva. Con lui si era stabilito un rapporto e il “vecchio soldato” aveva favorito la sua fuga, da Stoccarda (dove aveva subìto i bombardamenti alleati e visto il terrore nella popolazione) al Piemonte, attraverso la Svizzera.
Nel 1944 entrò così nella 103a Brigata Autonoma "Amendola", che faceva parte del I Gruppo Divisioni Alpine di Mauri. I partigiani comunisti chiamavano i componenti di quelle formazioni "gli azzurri" o "i badogliani", perché composte da militari fedeli al giuramento al re e da giovani senza una particolare fede politica, spinti solo dalla volontà di sconfiggere i tedeschi occupanti e i fascisti che li aiutavano.
Antonio-Orlando, scrive il figlio, era un ragazzo di vent’anni costretto dalla guerra a vivere esperienze drammatiche, ad entrare in contatto con umanità diverse e ad assistere a tragedie collettive, oltre a compiere azioni eroiche e superare anche momenti di smarrimento. Tutti raccontati da Stefano Sante in “questa storia vera”, perché le narrazioni del padre, “spesso accompagnate da lacrime”, l’avevano persuaso della necessità di raccontare le sue vicende.
La ricostruzione parte dai “fatti di Cherasco, dove paura, morte e vendetta si mescolarono con violenza nella mente di Orlando”, per poi tornare a ritroso a ripercorrere l’intero tragitto: dalla prigionia in Germania ai bambini di Stoccarda (quelli che potè salvare, ma anche quelli che perirono, terrorizzati) e alla fuga fino al Piemonte, partigiano fino in fondo. Infine, l’abbraccio con i vecchi genitori a Faenza.
Il racconto è basato sui ricordi di Orlando, supportati da ricerche storiche sulla resistenza in Piemonte e notizie sulla Brigata autonoma, da visite nei luoghi in cui si svolsero gli episodi, da documenti e testimonianze.
Non manca un accenno polemico nella breve prefazione del figlio autore, che sottolinea il contributo alla Liberazione di centinaia di “eroi silenziosi”, uomini e donne, che alla fine sono tornati a casa:
senza nulla chiedere, se non forse un lavoro dignitoso, contrariamente a quei pochi - tra cui, molti, partigiani dell’ultima ora - che si sbracciarono ad ambire ricompense e posti di primo piano.
Nella terza parte dell’agile volume sono proposti atti che testimoniano l’azione coraggiosa di Orlando, tratti dagli archivi storici. Avendo messo il suo addestramento come artificiere al servizio del sabotaggio del ponte di Cherasco sullo Stura, Cavina era riuscito nello scopo distruttivo, la notte tra il 21 e il 22 ottobre 1944, insieme al capitano del Genio Antonio Chiari e al sergente Giovanni Manzo (nome di battaglia: Michele).
Per non esporre gli abitanti alle rappresaglie tedesche era rimasto in zona, finendo nelle mani di un reparto fascista il 10 gennaio 1945, per la spiata di un repubblichino che si era finto partigiano. Con lui, erano stati arrestati il capitano Chiari (Neri) e il tenente Franco Castriota (Franco), poi fucilati dai militi del tenente colonnello Palomba.
Orlando era stato restituito alla Brigata, dopo uno scambio concordato di ribelli e militari tedeschi prigionieri dei partigiani. Prima, pur consapevole d’essere destinato alla fucilazione, aveva respinto l’offerta del grado di tenente in cambio del passaggio coi fascisti. Gli avevano assicurato perfino il relativo stipendio, compresi gli arretrati dall’8 settembre 1943.
Antonio Cavina Orlando, conclude il figlio, è un eroe di guerra dimenticato, come altri e altre. “Era un uomo buono e come i veri partigiani è stato il padre di questa repubblica”. Dal 1944, le sue notti si erano fatte difficili. Pensava a Stoccarda, ai bombardamenti, a quei bambini. E non riusciva più a prendere sonno.
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