Pazzi di guerra
- Autore: Michael Hastings
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2017
Siete giornalisti e vi sentite lusingati se nel lussuoso Serena Hotel di Islamabad vi viene sempre assegnata a buon prezzo la solita splendida stanza? Ingenui, è perché i Servizi pakistani non vogliono spostare ogni volta le microspie di cui l’hanno tappezzata. La stessa attenzione viene riservata ai militari di alto grado a Parigi, se tutte le volte che il generale McChrystal sbarca in un albergo obbliga i concierge a rivoluzionare le camere assegnate a lui e al suo staff, gettando nella disperazione gli spioni che hanno lavorato duramente per predisporle al controllo remoto occulto. Sono alcune curiosità tratte dal libro di Michael Hastings “Pazzi di guerra”, novità Garzanti (maggio 2017, pp. 432, euro 18,60).
Questo saggio irriverente ha due protagonisti. Un corrispondente di guerra e un generale pluridecorato. E due vittime: la carriera del secondo e la vita del primo, sebbene non in conseguenza di questo episodio.
Due personaggi e uno scenario politico-militare inaspettato: le critiche di un signore della guerra ai vertici USA e alla conduzione del conflitto latente in Afghanistan e Iraq, la rivelazione delle debolezze dei potenti della terra, non escluso il presidente Obama, anzi a cominciare proprio da lui.
Ma è anche lo spaccato di una insospettabile gestione da operetta della macchina bellica in un teatro di crisi importantissimo come quello mediorientale-preasiatico. Gli aspetti macchiettistici che l’autore mette in luce sono del resto esasperati nella versione cinematografica del libro, il recentissimo film video on demand Netflix War machine, con Brad Pitt nei panni del generalissimo.
Michael Hastings non c’è più. Ha perso la vita nel 2013, a 33 anni, in un incidente stradale. Prima era stato freelance in Iraq, dove la compagna è morta in un attentato. Tra gli altri servizi, ha inseguito a lungo per un’intervista (sulla rivista americana di spettacolo e costume Rolling Stone) il potente generale Stanley McChrystal, comandante nel 2009 della forza internazionale in territorio afgano: militari di ben trentaquattro Paesi alleati. Un veterano già della prima guerra del Golfo 1991, ex allievo dell’Accademia di West Point. Uno con le carte in regola, un professionista. Uno senza peli sulla lingua, la sua rovina.
Nel 2010, Michal Hastings riuscì ad accreditarsi presso il suo staff, in occasione di un soggiorno del generale in Francia, dove voleva visitare i luoghi di guerra. Accompagnandosi al gruppo particolarmente ciarliero di collaboratori di vari gradi e armi che facevano corona al singolare condottiero, il cronista ha registrato fedelmente dichiarazioni, indiscrezioni, pettegolezzi. Voci dal sen sfuggite, commenti anche grossolani e che mettevano in luce aspetti che mai avrebbero dovuto essere rivelati, men che meno davanti a un giornalista. Questi, alla fine, non ha fatto altro che il suo “dannato lavoro” o sacrosanto dovere.
Un esempio di quello che scappa al generale? Barack Obama paralizzato dall’emozione al cospetto degli alti gradi delle Forze Armate, nella sua prima riunione al Pentagono. Ha lasciato una cattiva impressione. Del resto il presidente, il primo di colore nella storia degli Stai Uniti è anche il primo democratico dopo tre ministri della difesa repubblicani e il Pentagono pullula di repubblicani.
McChrystal veste sempre indivisa, quattro stellette su ogni spalla, magrissimo, quasi ossuto, occhi azzurro ardesia spietati. È stato il primo militare dei reparti speciali a ricevere il comando in una zona di guerra tanto rilevante. Per cinque anni si è classificato miglior cacciatore dell’esercito americano, aveva causato la morte di centinaia di nemici, possibili terroristi certo, ma in misura minore anche civili. È stato responsabile diretto di una rete di campi di prigionia e tortura in Iraq. George Bush lo aveva ringraziato pubblicamente, riconoscendogli di aver compiuto un eccellente lavoro e facendo di lui l’assassino più rispettabile della nazione. Il successore, Obama, lo aveva scelto per guidare le operazioni in Afghanistan, sorvolando sulla sua carriera oggetto più volte di critiche.
Al momento dell’incontro col cronista, era al secondo posto tra i personaggi dell’anno secondo il Time, in qualità di comandante generale dell’ISAF in Afghanistan, alias Big Stan, il Papa, il Boss, Stan. Una rock star, come amavano chiamarlo i membri del suo staff.
“Dell’articolo non me ne importa nulla. Basta che tu mi faccia mettere in copertina”.
Diritto allo scopo.“Ve la giocale lei e Lady Gaga, signore”, la risposta del cronista.
Guerra, sesso e rock’n’roll: che contrasto con l’orizzonte abbacinato dal sole del più grande conflitto del momento. Quanti morti in Iraq, Afghanistan e Pakistan? In grandissima parte non sono periti in battaglia, ma in conseguenza di attentati suicidi, di uccisioni ai posti di controllo, di ordigni esplosivi di fabbricazione artigianale. Civili che andavano al lavoro, soldati alla ricerca di un nemico che solo di rado capita di trovare. Probabilmente non sapremo quanti innocenti sono stati uccisi, ma le vittime sarebbero più di 160.000, secondo le stime. In questa tragedia mondiale, Al-Qaeda ha perso forse appena alcune ventine di agenti, come direbbe Obama. Forse non erano così numerosi nemmeno all’inizio.
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