Pfiff
- Autore: Roberto Giardina
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
“L’operaio cadde nella colata, fece pfiff e scomparve”
Non era ancora un cronista, non era nemmeno assunto, non era niente. Il suo primo articolo fu collocato d’apertura, senza firma, posizione di tutto rispetto sulle pagine di un quotidiano. Il funerale di un operaio morto in fabbrica. Perché assegnargli quel pezzo e dargli quel risalto? Se lo chiede il protagonista, se lo chiederanno i lettori e avranno risposta, l’uno e gli altri, dall’autore di un libro strano e curioso, ma che attrae, ha un’anima, esprime personalità, vive di vita propria. È “Pfiff” (312 pagine 17 euro), romanzo pubblicato a fine 2016 da Imprimatur, casa editrice di Reggio Emilia. L’articolo lo firma Roberto Giardina, giornalista, saggista, romanziere. Oggi ha settantasei anni ed è corrispondente dalla Germania del “Quotidiano nazionale”. Nei primi anni Sessanta, era un giovane aspirante redattore, salito dalla sua Palermo a Torino, lo stesso itinerario di tanti meridionali. Nel Sud sarebbero rimasti disoccupati senza speranza. Nel Nord diventavano lavoratori spremuti ma salariati, in quel triangolo industriale dove si stava costruendo l’Italia del boom economico.
Il funerale fu il primo servizio che gli affidarono in cronaca.
“Il morto pesava un chilo... lavorava all’altoforno e cadde nella colata destinata alle carrozzerie della nuova 500. Fece pfiff e scomparve”
Un incipit straordinario, da grande giornalista, per un articolo che risultava del tutto fuori luogo in cronaca. Chi diavolo aveva mandato quel debuttante allo sbaraglio? Un articolo affidato al giovane protagonista senza nome. Il suo primo. Completamente sbagliato.
Certo, non era un servizio facile. Avrebbe dovuto limitarsi a descrivere il funerale, a ripetere le parole del prete, a sottolineare le lacrime della moglie, dei figli bambini, di parenti, amici e compagni di lavoro, tutti di qualche paese del Meridione.
Ma lui non sapeva cosa scrivere. Aveva sentito dire da un altro operaio che nella bara non si era potuto che deporre un blocco d’acciaio, “un grumo di metallo”.
E quello lo aveva colpito.
“Che piangano è normale. Anche per un chilo di acciaio”
aveva pensato e proprio non sapeva che scrivere. Men che meno,
“aveva il coraggio di parlare con la vedova”
Non se la sentiva di chiederle come si sentisse in quel momento, la domanda sciocca che tutti i cronisti si propongono di non rivolgere mai ma che davanti alla sofferenza, spesso urlata drammaticamente, si ritrovano invece tutti a pronunciare con la lingua secca, la voce incerta e il cervello in pappa.
“E lui sbagliò. Scrisse di come l’operaio di cui non ricordava il nome si fosse trasformato in acciaio”
In mancanza del corpo della vittima, dalla colata si preleva una piccola quantità di acciaio, perché la famiglia abbia un funerale. “Un chilo basta. Pfiff”, ripete l’amico, che alza le braccia a evocare il vapore umano nel metallo.
“Il resto del morto vaga negli sportelli o nella scocca, in una parte delle centinaia di auto fabbricate quel giorno”
Quel materiale diventa più fragile, ma non si sprecano tonnellate di acciaio per un pfiff.
“Insomma, una partita di 500 difettose, un’occulta debolezza”
Questo proprio non avrebbe dovuto scriverlo.
In quella fabbrica, “la fabbrica”, saltano sulla sedia sfogliando il giornale, la mattina dopo.
L’episodio che dà il titolo al libro è autentico, nei particolari, ma la cronaca fu affidata a un collega, spiega l’autore nella postfazione. A Torino, nei primi Anni Sessanta, i meridionali morivano ogni giorno per incidenti sul lavoro, come oggi in Cina. Nessuno ci badava, tutti accecati dal miracolo economico. Per anni ha maturato il progetto di scrivere ed anche se non si può considerare un romanzo autobiografico, come invece si potrebbe sospettare – a parte i pochi passaggi sull’infanzia siciliana – resta una storia personale, perché evoca fatti di cui è stato testimone. Le lotte operaie nella Torino della Fiat, la cronaca nera, quella politica e un ricordo doloroso per gli juventini: lo storico successo del suo Palermo il 18 febbraio 1962. La Juve padrona di casa sconfitta 2-4.
“Una partita di calcio potrà sembrare un episodio senza importanza, ma fu un risultato storico per migliaia di immigrati, non solo rosanero. Una rivincita sulla vita quotidiana in fabbrica”
Il romanzo si apre con un pfiff, si chiude con l’era di Internet. Il mondo è cambiato, le persone sono cambiate, il mestiere di informare è cambiato. È anche un romanzo sulla professione giornalistica. Occorrerebbe essere sempre precisi, chirurgici, non dare mai per scontato quello che circola fin troppo rapidamente e, soprattutto, verificare, controllare,
“come si faceva in passato, e sempre di meno oggi. Si sa, o si dovrebbe, e si dimentica”
Non sempre si cambia in meglio, ma non è scontato che tutto sia peggio. Quel ch’è certo è che oggi, a Torino, l’aria
“non sa più di aglio e di acciaio”
PFIFF. Una storia operaia nella Torino degli anni Sessanta
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