Può salvarci la poesia dall’imbarbarimento? Le poesie imparate a memoria alla scuola elementare, ora scuola primaria, sono ancora presenti nella mia testa: "Valentino" di Pascoli, me la recitava mia madre prima ancora di entrare a scuola e poi "San Martino" di Carducci, "Il Sabato del villaggio" di Leopardi e tanti poeti un po’ dimenticati, Ada Negri, Diego Valeri, Renzo Pezzani, Marino Moretti furono la colonna sonora della mia infanzia, poeti presenti nei libri di scuola degli anni 50.
Alle medie poi arrivarono l’Iliade e l’Odissea, gli incipit rigorosamente a memoria e poi "Davanti San Guido" e "Pianto antico", "Il cinque maggio" di Manzoni, i sonetti di Foscolo, "La quiete dopo la tempesta" e "Il passero solitario" di Leopardi, fino a Quasimodo, "Alle fronde dei salici" e siccome avevamo una bravissima insegnante di lettere, versi latini di Ovidio e Catullo, il secondo canto dell’Eneide: “Infandum regina iubes renovare dolorem”… Tutto sempre a memoria.
Al liceo classico si studiava tanta poesia, ma i miei ricordi sono soprattutto legati alle lezioni del mio professore d’italiano, il mio modello, Nicola Tanda. Le sue lezioni su Dante e Petrarca erano imperdibili, ma con lui ho amato soprattutto Ariosto, Tasso e il ’900: Gozzano, Montale, Ungaretti, letti e analizzati con passione e competenza.
L’importanza delle poesie a memoria, anche da insegnante
Quando ho scelto di fare l’insegnante di lettere questo patrimonio mi è stato utile e prezioso. Recitare i versi a memoria incantava i miei alunni, li rendeva attenti e ricettivi. Per tanti lunghi anni il Pianto della Madonna di Jacopone: “Guido i’ vorrei che tu e Lapo ed io...”, Tancredi e Clorinda, “Amor ch’a nullo amato amar perdona”, “Voi ch’ascoltate in rime sparse”, “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”, “Silvia rimembri ancora”, “Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, sono risuonati come versi fondativi della nostra identità culturale nelle mie classi.
Io leggevo ad alta voce, ma spesso mi servivo di “audiocassette” con le voci di Gassmann, Albertazzi, Proietti, Benigni, più persuasivi di me.
La poesia in musica
Negli ultimi anni abbiamo cominciato a lavorare anche con la musica, i cantautori e le loro celebri canzoni sono entrati nei programmi di lavoro: Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Battisti–Mogol, hanno proposto il tema annoso: le loro sono davvero poesie? Io penso di si, anche se usano un diverso linguaggio, quello contemporaneo, più vicino alla sensibilità dei ragazzi. Petrarca scriveva i suoi versi per essere accompagnato dalla musica, infatti si rivolgeva all’inizio del Canzoniere proprio ai suoi ascoltatori, più che ai lettori, molto pochi già allora.
La poesia può salvare l’anima, ma è un linguaggio complesso che deve essere insegnato, accompagnato, stimolato nel tempo della scuola da insegnanti sensibili, competenti, appassionati. Solo così può diventare per ogni individuo un patrimonio unico, un antidoto alla volgarità, all’ignoranza, all’oblio delle nostre radici e della storia di cui siamo parte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La poesia ci salverà dall’imbarbarimento?
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