Tra i più noti componimenti di Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio consente di cogliere elementi e nodi concettuali di primaria importanza nella poetica e nella concezione del mondo dell’autore, quali la teoria del piacere.
Oltre a essere uno strumento utile per la comprensione di uno dei canti più noti, l’analisi del testo de Il Sabato del villaggio di Leopardi può costituire un ottimo punto di partenza dal quale realizzare una tesina da discutere durante gli esami di maturità o durante un esame universitario.
Il sabato del villaggio: introduzione e commento
Afferente ai Canti (nella sezione nota come "Grandi idilli") e composta poco dopo La quiete dopo la tempesta, nel settembre 1829, questa lirica muove dalla rappresentazione di una scena di vita paesana per indagare uno degli aspetti della teoria leopardiana del piacere: il piacere non è mai attuale ma è sempre proiettato nel futuro, ovvero il piacere è attesa del piacere.
Canzone libera in endecasillabi e settenari, raggruppati in quattro strofe di lunghezza differente, la lirica, dal punto di vista contenutistico è divisa in due parti asimmetriche, similmente a La quiete dopo la tempesta, con la quale condivide anche la tematica (la teoria del piacere che, però, nell’altro componimento è declinata diversamente: lì il piacere è figlio d’affanno).
Nella prima parte de Il sabato del villaggio (vv. 1-37) troviamo la descrizione della vita paesana, nell’atmosfera di un sabato primaverile che volge al termine, quando gli abitanti si preparano al successivo giorno di festa. Compaiono nel canto figure esemplari, simboli della giovinezza, della vecchiaia e dell’infanzia spensierata. Altre figure alludono alla quotidianità della vita del mondo contadino e assurgono anche a simboli di una modernità lontana dallo stato di natura.
Le descrizioni, caratterizzate nettamente dal sensismo leopardiano, sono fitte di rimandi contenutistici e formali alla tradizione classica (Virgilio e Petrarca).
Nella seconda parte del componimento, speculare alla prima, il poeta riflette sul fatto che è inutile attendere quel piacere che in realtà non giungerà mai, mentre continueranno a esser presenti noia e tristezza. Dalla settimana la riflessione sembra investire, poi, la vita: la gioia della giovinezza ingenerata dall’attesa per l’età adulta, sarà tradita da una maturità dolorosa e priva di piacere, proprio come la domenica disillude l’attesa del sabato.
L’invito che chiude il componimento, rivolto a un ragazzo ("garzoncello scherzoso"), simbolo dell’ingenuità e dell’inconsapevolezza umane, è a non farsi cogliere dall’ansia di crescere, l’unica felicità possibile, infatti, è l’attesa di un benessere a venire che, però, si rivelerà illusorio quando sarà raggiunto.
Anche se temi e posizioni dottrinarie sono quelle proprie del pessimismo cosmico il poeta non si abbandona a un lamento tragico, ma mantiene uno stile piano e pacato, con una sintassi che non è fratta da enjambements, inversioni o anastrofi marcate, quasi a voler esprimere quella malinconia che emergerà compiutamente solo nel monito finale, rivolto al garzoncello.
Il Sabato del villaggio: parafrasi e analisi, strofa per strofa
La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchiarella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dì della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch’ebbe compagni dell’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
giù da’ colli e da’ tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore:
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dì del suo riposo.
v. 1 = donzelletta: arcaismo per la contadinella.
v. 4 = rose e viole hanno periodi diversi di fioritura, si tratta, quindi, di una coppia di fiori improbabile, un dettaglio che non sfuggi a Pascoli, grande esperto anche di botanica, che si sentì, pertanto, in diritto di esprimere un giudizio di astrattezza linguistica e lessicale su Leopardi e sul suo rifiuto del vero.
v. 5 = Onde: con il quale.
vv. 6-7 = appresta... festa: rima al mezzo che produce una grande musicalità e appare molto ben studiata perché riesce a dividere l’endecasillabo (v. 7) in un settenario e in un quinario.
v. 7 = il crine: i capelli.
v. 10 = incontro là dove si perde il giorno: volta verso occidente, dove tramonta il sole.
v. 11 = e novellando vien del suo buon tempo: e raccontando parla della sua giovinezza. La vecchiarella, come ben dimostra la forma continuativa del verbo, prova piacere nel ricordare (rimembranza), si perde nei dettagli del ricordo, richiamando alla mente un’età lieta e ormai passata della vita; in tal modo, poi, il testo crea una sottile allusione al tema, tutto leopardiano, del ricordo malinconico di una felicità per sempre svanita e tramontata.
v. 13 = i due aggettivi che costituiscono quasi una dittologia sinonimica alludono alla bellezza giovanile, sfiorita da tempo nel caso della vecchiarella.
vv. 16-17 = torna azzurro: dopo la luce chiara del giorno si ha un passaggio atmosferico dove il cielo si fa di un azzurro cupo, poco prima del tramonto definitivo del sole.
v. 19 = al biancheggiar della recente luna: sotto la luce biancastra della luna appena sorta.
v. 20 = la squilla: la campana della chiesa.
v. 28 = e intanto riede alla sua parca mensa: ritorna nel frattempo a casa per la sua povera cena. La figura dell’umile zappatore, oltre ad essere una rappresentazione oltremodo pregnante di un piccolo villaggio e dei suoi abitanti, è fitta di rimandi letterari che richiamano grandi modelli della tradizione: una delle Ecloghe di Virgilio ma anche una delle liriche del Canzoniere di Petrarca, ripresa anche nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
v. 29 = È possibile notare qui un attento studio del gioco di rime: la rima al mezzo (fischiando) rimanda ai precedenti gridando (v. 24) e saltando (v. 26) mentre la parola in chiusura di verso (zappatore) rima con il precedente romore (v. 27).
v. 30 = seco: tra sé e sé.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s’affretta, e s’adopra
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
v. 31 = face: luce.
v. 32 = e tutto l’altro: ogni altra cosa.
v. 34 = legnaiuol: falegname.
v. 35 = alla lucerna: alla luce della lucerna.
vv. 36-37 = s’adopra... dell’alba: si dà da fare per terminare il lavoro prima del sorgere della domenica, quando, secondo il precetto cristiano, si deve osservare l’assoluto riposo.
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
v. 39 = pien di speme: in un appunto dello Zibaldone del 1 ottobre 1823 Leopardi osserva che significato primitivo e più proprio di spes non è lo sperare quanto piuttosto l’aspettare indeterminatamente il bene o il male; la stessa accezione etimologica della parola è presente in un passo del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (vv. 13-14: “poi stanco si riposa in su la sera: | altro mai non ispera”).
v. 40 = diman: domani, ovvero domenica.
v. 41 = al travaglio usato: al lavoro quotidiano, alle occupazioni abituali. Secondo una nota dello Zibaldone, del 12 febbraio 1821 il lavoro quotidiano e costante è il mezzo per raggiungere la maggiore felicità possibile, dal momento che è “il mezzo di distrazione il più facile, più sicuro e forte, più durevole, più frequente e generale e realizzabile nella vita”.
v. 42 = in suo pensier: con la sua immaginazione.
Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirvi non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
v. 43 = Garzoncello scherzoso: fanciullo che vivi la tua esistenza spensieratamente.
v. 44 = codesta... fiorita: codesta tua fanciullezza, si tratta di un’espressione di derivazione petrarchesca.
v. 47 = che... vita: che anticipa la piena maturità della tua vita, come il sabato è la vigilia della festa.
v. 48 = godi: sii felice di quello che ora sei; stato: condizione. La pacatezza quasi giocosa dei versi finali nasconde un’amara legge della vita, che Leopardi, ormai disilluso, affida al suo ragazzetto scherzoso; nella convinzione che non si è felici che prima di essere felici sembra riecheggiare chiaramente una massima di Jean-Jacques Rousseau (L’on n’est heureux qu’avant d’être heureux) che il poeta aveva annotato nello Zibaldone, nell’aprile del 1829.
v. 50 = altro... vo’: non ti dirò altro (per non rattristarti).
vv. 50-51 = ma la tua... sia grave: ma non ti dispiaccia che la maturità, la festa della tua vita, ancora tardi a venire.
Figure retoriche
Come già detto, Il sabato del villaggio è una canzone libera leopardiana. Non presenta dunque uno schema metrico fisso, ma si può evidenziare il frequente ricorso alla rima al mezzo (es. "appresta"-"festa"), alle assonanze (es. "campagna"-"calar"-"ornava"-"sana"-"danzar") e alle consonanze (es. "affretta"-"tutta"-"tetti"-"frotta"-"tutto"-"sette").
Per quanto riguarda la tramatura retorica del componimento, sottolineiamo la presenza di:
- allitterazioni e richiami sonori: es. "donzelletta", "vecchierella", "novellando", "sulla", "bella", "colli"; o i dittonghi ("giorno", "chiaro", "ciascuno", "gioia", "stagion", "pien", "pensier", "lieta")
- enjambement: vv. 4-5, 13-14-15, 20-21, 33-34, 36-37, 40-41, 44-45. 50-51
- iperbato: "tornare ella si appresta / dimani, al dì di festa, il petto e il crine"; "ed al travaglio usato / ciascuno in suo pensier farà ritorno"; "ma la tua festa / ch’anco tardi a venir non ti sia grave"
- metafore: "età più bella", "età fiorita", "stagion lieta" (impiegate per indicare la giovinezza); "festa" (l’età matura)
- similitudine: "cotesta età fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno"
- metonimia: "sereno" (v. 17, per indicare il cielo)
- anastrofe: "novellando vien" (v. 11), "d’allegrezza pieno" (v. 45)
- apostrofe: "garzoncello scherzoso" (v. 43)
- anadiplosi: "un giorno d’allegrezza pieno / giorno chiaro, sereno" (vv. 45-46)
- preterizione: "altro dirti non vo" (v. 50)
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il sabato del villaggio di Leopardi: testo, parafrasi e analisi
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