Poesie d’amore e di dolore
- Autore: Filippo Passeo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2019
Non bisogna lasciarsi ingannare dall’apparente semplicità di un titolo, Poesie d’amore e di dolore, silloge di Filippo Passeo (Samuele editore, 2019, pp. 116) con prefazione di Mario Famularo. Nell’enunciato è già evidente con luminosa chiarezza, lontana da ogni ermetismo, l’andamento binario del testo e la compresenza di opposti da sintetizzare sapientemente nella difficile arte di vivere. Pur essendo siciliano, e conservando colore e passione della sua terra, Passeo può ben inserirsi in un filone letterario definito come "triestinità" dalla scuola romana di Moravia ed Enzo Siciliano, termine legato a Umbero Saba e con il quale si intende appunto un percorso poetico limpido, di immediata comprensione, almeno a un primo approccio; salvo poi imbattersi in una crescente complessità del dettato poetico, proprio come accade vivendo, quando i nodi esistenziali compaiono improvvisamente e dolorosamente inesplicabili. Immagine simbolica che si ripete nelle pagine è quella della stella, presente già nella prima lirica:
"Stella, / come si fa a escluderti dalla poesia? / Pupilla in un’idea d’infinito.”
Luce della sua donna ma pure condizione evolutiva, in senso montaliano: "tendono alla chiarità le cose oscure". E quanto sia difficile, addirittura scabroso se non impossibile, decifrare la luce lo afferma lo stesso Passeo, che verso la conclusione del suo percorso parla di "stelle che non ho saputo mai toccare"; con ciò alludendo all’impossibilità di decifrare il destino. Ed ecco irrompere la complessità, il mistero, il dualismo insito in ogni respiro o palpito di vita.
Nella prima parte del libro assistiamo alla gloria dell’amore, rivelato con piacere innocente:
"Perché tieni così strette le labbra? / aprile appena un po’, /che vi possa penetrare a poco a poco / la vena del mio nome. /Assaggiane il calco semantico, / se si confà alle intenzioni /delle tue mucose, mordilo / poiché viene dal sangue del mio cuore. […] e se il gusto sazia palato e speranze / spargilo nell’anima e nel ventre.”
Si nota l’aderenza della parola alla fisicità. Il logos non è soltanto un dire ma soprattutto esperire, esistenzialismo, non "flatus vocis" come vorrebbe il nominalismo di Umberto Eco.
Quale salto abissale compie Passeo, passando da tanta vitalità priva di dubbi sulla bontà dell’esistenza, alla seconda sezione, nella quale il dolore irrompe improvviso, mostrando il suo volto impietoso di malattia, di sedazione, di morte, con inevitabile depressione:
"Il buio dei tuoi neurotrasmettitori, / il silenzio di rime e canti / con schegge di vane parole, / solo solitudine / e sedata / macerazione.”
Le parole diventano incomprensibili, perché il dolore è mistero lontano da ogni logica e colpisce disgregando ciò che si è costruito. La malattia reale va intesa anche come metafora. Che cosa resta? E se resta qualcosa, oltre la scarnificazione privativa, quale sarà il suo valore? Resta certamente la parola, per un momento negata con brividi di scetticismo, ma ritrovata in immagini molto efficaci, le parole sono viaggio, sono ponti e, nonostante tutto, sono canti d’amore inalterabile. Fino a diventare un silenzio sublime, nella contemplazione della natura e nella pienezza vitalistica dell’istante:
“Un lago lontano e immobile / tra braccia di boschi... […] una pace fluida senza increspature, /o forse il riposo di un angelo supino /con le grandi ali aperte come / i cieli delle pupille. / Celestitudine, / della natura che non parla / e non ti fa parlare.”
La condizione della vecchiaia che si approssima alla morte, la cui peculiarità è la solitudine, fa sentire il poeta parte delle viscere di ciascuno di noi, che abbiamo assistito al declino dei nostri cari, o viviamo il declino degli anni o la fine degli ideali. Non si può non amare, in lui, tutta l’umanità inerme. Il poeta stesso, nel rendere protagonista dei suoi versi il dolore degli indifesi, i bambini africani venduti, le bambine indiane stuprate nei matrimoni infantili, partecipa al danno e al sopruso, a cui l’umanità pare non saper trovare rimedio. Nella seconda sezione esiste pure una denuncia ferma e puntuale, con nomi di industrie che basano le loro fortune finanziarie sul lavoro minorile, e noi di contro basiamo il nostro piacere nel gustare la cioccolata sulla fatica disumana di ragazzini che maneggiano il machete pesantissimo, durante la raccolta dei favi, a volte ferendosi gravemente. E poiché Passeo non indulge a compromessi, anche chi scrive, uscendo per un momento dalla finzione creativa e dalla poesia, si permette di suggerire la marca di cioccolata alternativa "Fair Trade" del commercio equo e solidale.
Ma tornando ai fremiti della poesia, Sono ritrovate le stelle, le galassie, in un sogno ormai solitario:
“Galassia dorata, / rigirandomi allungo le braccia, / ti tocco, ti accarezzo, lola, / e stringendo l’Universo / mi addormento.”
Passeo scopre un ordine, una superiore sintesi che dà conto dei giorni vissuti con amore-dolore, nella complementarietà degli opposti. Scopre una geometria dell’anima, la simmetria del cosmo a cui l’anima è affine, e modelli di esistenza. In tal modo egli è veramente pacificato:
“E simmetria e bellezza si disintegrano e si / ricostruiscono per la legge dei modelli d’esistenza. / Si distruggono mondi, si ricreano galassie. / Sistemi duali: a ogni yin-yang il suo t’ai-chi. / Il poeta e il lavoratore; il divano e il migrante. / Per ogni tristezza l’amore; in ogni distopìa la pace.”
Ed è infine appagante ritrovare il poeta in contemplazione del mare, furioso e placido, duale e bellissimo, terribilmente affascinante. Vi si immerge insieme a una poesia. Dopo di che, nello sparire ultimo, tacerà, ma ha detto tutto il dicibile.
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