L’antologia recentemente pubblicata da Garzanti in cartaceo e digitale, a cura di Giuliana Mancuso, raccoglie un’ottantina di Poesie sugli alberi scritte da autori internazionali di tutte le epoche, a partire da Petrarca per arrivare ad Antonia Pozzi.
Proprio il nostro grande aretino inizia il catalogo arboreo rendendo omaggio a una “giovene donna sotto un verde lauro”: alloro definito “dolce, duro, vivo, ben colto”, essendo comunque evidente che l’attenzione del poeta si volge più che alla vegetazione a “’l bel viso e le chiome” dell’amata. Matteo Bandello, brindando in allegria, esalta la “nova vite” che dona “uve gialle”.
Tra i romantici, l’inglese Charlotte Smith ringrazia il rude olivo, dai sacri rami emblema della pace:
“Sebbene i tuoi pallidi fiori essenza non effondano / Nell’aria che i venti sollevano, / In te risiede il vero valore”
Goethe apprezza l’esotico Ginkgo biloba; il sognante Hölderlin loda le querce, figlie del monte, “liete e libere dalle possenti radici”
“Ma voi, voi querce gloriose! Vi ergete come un popolo di titani / Nel mondo addomesticato, e siete solo vostre e del cielo, / Che vi nutre e vi ha cresciuto, e della terra, che vi ha dato la vita”
Novalis è grato agli ontani “dai rami frondosi”, che regalano ombra agli abbracci degli amanti; Karl Meyer onora il “Vecchio pioppo tedesco” (un po’ di sano nazionalismo non guasta!), mentre Joseph von Eichendorff ricorda di aver intagliato il nome della sua fidanzata sulla corteccia di un tiglio. Il cantore dei boschi John Clare azzarda una similitudine: “Grande olmo dal tronco spaccato, tutt’inciso e sfregiato, / Simile è il tuo destino a quello di un guerriero!”, e Heinrich Heine si commuove osservando la fredda solitudine di un abete nordico.
Poteva mancare nell’elenco Giacomo Leopardi? Malinconicamente segue con lo sguardo il volteggiare di una foglia di faggio. Se Walt Whitman si rispecchia orgogliosamente in una robusta quercia della Louisiana (“E il suo aspetto rude, deciso, vigoroso mi ha fatto pensare a me stesso”), con una sensibilità tipicamente femminile Luise Büchner si accorge che il faggio protegge le specie animali e vegetali più piccole e indifese.
Nel classico trio ottocentesco italico, celeberrimo è il verde melograno di Carducci, mentre il mite Pascoli accarezza con grato pensiero l’agrifoglio, e il ricercato D’Annunzio glorifica l’astrusa siliqua. L’imperialista Rudyard Kipling ossequia tutti gli alberi che “adornano la vecchia Inghilterra”, mentre più modestamente la lombarda Ada Negri celebra l’albicocco del suo giardino:
“Nei tre più alti rami / fiorì, leggero: in sua bianchezza alata / ride all’azzurro con stupor d’infanzia”.
Anche l’americana Amy Lowell si rivela affezionata al melo. Chissà se le due poetesse preparavano nelle loro cucine - come me! - conserve e marmellate, e per questo dimostravano riconoscenza agli alberi da frutto…
Rilke, raffinato e altero, amava gli alti cipressi scuri, il solare Machado le palmette nane e l’arancio, il sensuale Lawrence il mandorlo in fiore, l’estenuato Lorca il limoneto. Infine la giovane, dolce, infelice Antonia Pozzi scriveva versi tristemente premonitori:
“Io / sotto l’abete / in pace / come una cosa della terra, / come un ciuffo di eriche / arso dal gelo”…
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