Quam horridae pugnae. Saggi di storia militare
- Autore: Sergio Pelagalli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
A metà del terzo millennio avanti Cristo, i Sumeri hanno strutturato il primo battaglione. Settecento anni anni dopo, gli Egizi hanno trasformato tribù in armi nel primo esercito di mestiere e distinto fanterie di linea armate di picca e scudo da fanterie leggere con archi e fionde. Sempre nel secondo millennio a.C. gli Ittiti adotteranno i primi carri a ruote, trainati da cavalli addestrati. Parte dai primordi della guerra organizzata l’analisi tecnica e specialistica dell’arte bellica d’ogni tempo proposta da uno specialista e tecnico a sua volta, il generale Sergio Pelagalli, in un volume che raccoglie molti dei suoi contributi monografici. Il titolo è Quam horridae pugnae. Saggi di storia militare, pubblicato alla fine del 2019 dall’Associazione culturale e casa editrice genovese Italia Storica, di Andrea Lombardi (380 pagine).
Triestino, classe 1936, ha percorso la carriera nell’Arma di terra fino al grado di generale di Brigata. Commendatore della Repubblica nel 1996, da studioso del “mestiere”, ha collaborato con l’Ufficio Storico dell’Esercito e con riviste prestigiose, come “Storia contemporanea” e “Storia militare”.
In copertina sono anticipati alcuni dei temi sviluppati: analisi del fenomeno guerra; ordinamenti militari nella storia; arte militare o della guerra; dall’Armata sarda all’Esercito italiano; sociologia militare; leggende nere; verità rimosse e curiosità militari. In tema di queste ultime, l’abstract ne suggerisce numerose e tutte intriganti, insieme a diverse domande che troveranno una risposta nelle pagine dell’alto ufficiale.
Qualche esempio di curiosità e quesiti? La forza da sbarco angloamericana in Sicilia dell’estate 1943 era più potente di quella in Normandia. Quale Stato ha mobilitato più uomini nella Grande Guerra? Trentatré secoli di storia dell’Europa ma solo due di pace. Alla carica dei seicento a Balaklava due ufficiali piemontesi. La battaglia di Poitiers poco più che una scaramuccia. Quando vinceva era l’esercito piemontese, quando perdeva l’esercito sardo.
Il generale fa notare che la nascita degli Ordini cavallereschi-religiosi ha dovuto supplire all’impossibilità di mantenere in armi forze militari permanenti nelle prime crociate. Spiega che l’arruolamento per le campagne di guerra - per necessità tutte brevi all’epoca - contava solo sulla leva feudale. Contadini e artigiani potevano servire in armi solo per un arco di tempo limitato, dovendo tornare presto a svolgere le rispettive incombenze, insostituibili nell’economia di allora. La “chiamata” non superava i 60 giorni all’anno.
Peraltro, finché nel Medioevo europeo si sono scontrati i cavalieri, il rischio di morire in combattimento veniva limitato dai vincoli di fratellanza tra loro e dalla solidarietà di casta nobiliare. Combattevano per la gloria e preferivano fare prigioniero il nemico vinto, ospitandolo anche a lungo in attesa di ricevere un congruo riscatto dai familiari, che costituiva un significativo fattore economico. Quando però nel 1200 sono scese in campo anche le milizie comunali, sulla brama di bottino e di prestigio dell’aristocratico è prevalsa la fretta e furia del borghese di liquidare al più presto la faccenda bellica. Con le loro armi rozze, ferivano, mutilavano e uccidevano senza andare per il sottile. Per loro la guerra non era un’arte e doveva durare il meno possibile. I cavalieri cominciarono a provare la paura, dietro le corazze protettive e le fessure degli elmi.
Nella prima guerra mondiale, pur combattendo dieci mesi in meno rispetto agli altri Stati, il Regno d’Italia ha mobilitato il maggior numero di uomini abili, pari al 16% della popolazione maschile. L’Austria il 14%, la Germania l’11%, la Francia il 10%, la Russia il 6%, gli Stati Uniti il 3%, l’Inghilterra solo il 2,1%, potendo contare sugli altri paesi del Commonwealth e sulle colonie.
Nella campagna d’Etiopia del 1936, l’Italietta stupì gli esperti militari stranieri per la perfetta organizzazione logistica messa in piedi in poco tempo, per la mobilitazione attuata rapidamente e per la condotta operativa aggressiva, una volta avviate le offensive dall’Eritrea e dalla Somalia. Tutte buone prove che la nostra macchina da guerra non riuscì a ripetere nel conflitto successivo.
Per attendere una dimostrazione analoga di efficacia ed efficienza si dovranno attendere le missioni di pace in Libano del 1982-84. Impegnarono per diciassette mesi una punta massima di duemila unità, in grandissima parte militari di leva, in grado per serietà d’impegno e capacità professionali di reggere il confronto con reparti scelti di soldati professione, dai Marines alla Legione Straniera francese. I nostri si distinsero per la determinazione di non sfigurare e per l’atteggiamento di rispetto e umanità verso la popolazione civile di qualsiasi etnia e religione.
Pelagalli sfata inoltre la leggenda che vuole il collega della Prima guerra mondiale Antonio Cantore ucciso da una fucilata italiana, in prima linea a Cortina d’Ampezzo. Stimato e coraggioso, il padre degli Alpini era insensibile alle perdite ed esigente con le truppe, all’occorrenza spietato.
Il 20 luglio 1915, sporgendosi dal parapetto, continuava a osservare il nemico incurante delle pallottole che sibilavano e degli inviti a mettersi al riparo. È tuttora conservato il berretto con un foro nella visiera, che corrisponderebbe al diametro delle pallottole dei nostri fucili ’91 più dei Mannlicher austriaci. Tanto accrediterebbe la voce diffusasi subito che voleva Cantore raggiunto da fuoco amico. Ma col tempo e l’umidità il cuoio slabbrato da una pallottola tende a richiudersi - fa notare Pelagalli - riducendosi ai 6,5 mm attuali, non corrispondenti al calibro 8 delle armi nemiche. Una deduzione del tutto plausibile, in termini di fisica dei materiali.
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