Quei sette giorni di rabbia e gioventù di Enrico Anastasi

Più che un romanzo, Quei sette giorni di rabbia e gioventù di Enrico Anastasi si potrebbe definire un racconto lungo che si snoda nell’arco di una settimana. Protagonisti un gruppo di ragazzi che accettano l’invito di un amico (Saro) a trascorrere una vacanza a Lipari. L’intento sarebbe quello di dedicarsi al puro divertimento, vivendo all’insegna del relax e di un tenore molto allegro e spensierato, ma, pagina dopo pagina, emerge un’amarezza di fondo che viene espressa chiaramente da Carletto, narratore in prima persona della storia, che mette in luce i piccoli e grandi drammi che accompagnano la vita di ognuno dei ragazzi.

C’è un altro elemento che colpisce: l’incapacità dei ragazzi di amare e provare sentimenti. I valori del rispetto, dell’amicizia appaiono mobili e “liquidi”, come direbbe Bauman. E, in effetti, le descrizioni delle vicende che si svolgono sull’isola rappresentano un esempio tangibile proprio di quella società liquida che appartiene ai giorni nostri, si vive nel presente, del domani non v’è certezza ed è meglio non pensarci. Forse anche per questo i protagonisti del racconto si mostrano in preda a uno sbandamento psicologico che li porta a subire decisioni ed eventi.

La lettura di questo racconto – caratterizzato da una punteggiatura a tratti molto libera, i puristi della lingua potrebbero non apprezzare – è da consigliare a tutti coloro i quali vorrebbero cercare di capire quali sono, e con quale gravità, le ansie e le paure di un’intera generazione. Generazione, in preda a una crisi di identità, che sembra rassegnarsi alle conseguenze di un’epoca che sta togliendo sogni e speranze ai giovani.

Non sono solo sette giorni di rabbia e gioventù: lo spaccato sociale che emerge è quello di un intero gruppo di ragazzi che, nell’Italia di oggi, non vede più futuro né – quel che è peggio, ma forse anche per colpa loro – speranza di cambiarlo.