Questo amore
- Autore: Yann Andréa
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2023
Non c’è finale consolatorio per questa storia, nonostante il titolo sia promettente, persino romantico. Questo amore (Fve editori, 2023, traduzione di Lamberto Santuccio, prefazione di Sandra Petrignani) è un libro scritto per sopravvivere, per ingaggiare un corpo a corpo contro la morte. È una lunga lettera dedicata a un fantasma; quando l’autore, Yann Andréa, inizia a scriverla nella stanza immacolata di Rue Dauphine a Parigi, la destinataria designata, Marguerite Duras, è già morta da tre anni, riposa sotto una lapide bianca nel cimitero di Montparnasse sulla quale lui a volte posa dei fiori, delle margherite, in omaggio a quel nome che a lei non è mai piaciuto. Preferiva essere ricordata con il suo nom de plume da scrittrice, quel cognome dal suono inconfondibile che si era scelta, di sole cinque lettere: “Duras”.
Quando la letteratura coincide così tanto con la vita l’effetto finale è quasi inquietante, pare di assistere all’avverarsi di qualcosa di inaudito, a una sorta di profanazione, a un atto sacrilego. Sappiamo che tutto ciò che leggiamo è vero e, al contempo, è falso perché sottoposto all’inevitabile contraffazione della scrittura. Mettere in parole la vita significa necessariamente snaturarla, perché non si può dare forma a qualcosa di sfuggente, indefinibile, che non è fatto per essere contenuto in un ordine stabilito di lettere, suoni, frasi, paragrafi. Tuttavia le parole non si arrestano, fluiscono come un fiume in piena rompendo qualsiasi argine, Yann Andréa scrive mosso da un impeto incontenibile, conscio che sono proprio quelle parole tese come una corda sulle pagine di carta a dare un senso alla sua esistenza. Perché da quando Marguerite Duras è morta, quel 3 marzo 1996, anche lui ha cessato di esistere, vaga per le strade di Parigi come un sonnambulo o un perdigiorno, e non gli rimane altro che ricordarla: “jamais, jamais je ne vous oublierai.”
Ecco che la scrittura diventa il sortilegio per annullare la separazione definitiva, perché i libri, le parole, sono sempre stati il mezzo per arrivare a Lei, dunque rappresentano un portale aperto verso l’aldilà, una comunicazione ancora possibile.
Questo libro lo sto facendo. Queste parole posso finalmente scrivervele, per restare in vita, forse, per occupare il tempo in questo mese di giugno 1999.
Come si può descrivere un amore che comprende tutto, che vuole tutto, che è tanto assoluto quanto autodistruttivo? Un amore che travolge l’esistenza di due persone come un uragano, ed è forza artistica-creatrice, ma anche apocalisse. Un amore così non finisce con la morte, va oltre, afferra un lembo di ciò che siamo soliti chiamare “eternità”, pur sapendo che in fondo “non è altro che pietra”.
Ciò che più di ogni altra cosa colpisce di Questo amore è il principio, l’incipit folgorante: sembra l’inizio di una favola che, purtroppo, come tutte le “favole vere” si evolve in tragedia. Ma proprio su questo inizio, ancor più che sul finale già noto, occorre soffermarsi.
Vorrei parlare di questo: dei sedici anni tra l’estate 80 e il 3 marzo 1996. Questi anni vissuti con lei.
Lei.
Mi è sempre difficile dire la parola. Non riuscivo a dire il suo cognome. Soltanto scriverlo. Non ho mai saputo darle del tu. A volte lei lo avrebbe voluto.
Lei è la scrittrice francese Marguerite Duras, un caposaldo della letteratura del Novecento. Chi scrive è Yann, compagno-amante degli ultimi sedici anni della sua vita. Il loro è un amore nato sotto il segno della letteratura, ma anche dell’instabilità e della differenza.
Lui è rimasto stregato da un suo libro, I cavallini di Tarquinia, letto per caso perché trovato per terra a casa di un’amica durante un pomeriggio ozioso. Da quel momento non è più riuscito a leggere che lei; ha l’assoluta certezza che Duras scriva per lui, che la sua voce gli sia in qualche modo destinata.
Duras diventa per me la scrittura stessa. (…) C’è come una miracolosa coincidenza tra ciò che leggo e ciò che sono, ciò che continuo a essere. Una coincidenza fra lei e me.
Quando la incontra dal vivo, alla prima proiezione di India Song al cinema Lux nel 1975, scopre sorprendentemente che lei assomiglia davvero a quello che scrive. Quel giorno la scrittrice indossa un gilet di cuoio marrone e la sua inseparabile gonna pied-de-poule, risponde alle domande di un manipolo di studenti che la guardano come se assistessero all’apparizione di una divinità: tra quegli studenti estasiasti c’è anche lui, che balbetta e quasi non riesce a formulare la sua domanda, ma viene sostenuto dal suo sguardo e in quell’istante d’intesa lei lo aiuta, come sentisse che quel ragazzo biondo dagli occhiali tondi ha da dire qualcosa di straordinario.
Marguerite Duras ha sessantun anni, Yann Lemée ne ha appena compiuti ventidue. Lei è una scrittrice affermata – anche se non ha ancora vinto il Premio Goncourt – e ha già diversi problemi con l’alcol che la costringeranno a dure riabilitazioni; lui è uno squattrinato studente di filosofia, divide un appartamento con altri amici. Al firmacopie lui le porge un libro, il suo preferito, Détruire, dit-elle, e con un filo di voce ha il coraggio di chiederle l’indirizzo: “Vorrei scriverle”, dice.
Allora accanto alla firma lei aggiunge: “Saint-Benoît – Paris, 6e arrondissement”. Ed è così che tutto comincia.
Lui inizia a scriverle lettere, a volte persino più di una lettera al giorno, senza aspettare risposta. Montagne di lettere recapitate al suo indirizzo da un illustre sconosciuto per anni; finché, un giorno, inaspettatamente lei risponde. Pare l’inizio di un’ossessione, mentre stiamo assistendo al principio di qualcosa di molto più intimo, delicato, indicibile. Tutto potrebbe spezzarsi da un momento all’altro, eppure continua. Lei gli invia un suo romanzo e lui – che sinora è stato il suo più folle ammiratore – non lo apprezza, ne rimane deluso, smette del tutto di scriverle. Allora sarà Duras a incalzarlo, a non demordere, gliene invia un altro. La corrispondenza riprende sino alla sera del loro incontro: il 29 luglio 1980, a Trouville, all’hotel Roches Noires.
È L’Estate’80 da Duras in seguito immortalata in un celebre romanzo. Yann si presenta alla porta del suo appartamento con una bottiglia di vino rosso che lei l’ha pregato di comprare. Da quel momento rimarrà lì, con lei, a scrivere e a vivere nell’appartamento sospeso sul mare. Non si lasceranno più; o meglio, si lasceranno molte volte nel corso dei successivi sedici anni, ma torneranno sempre l’uno dall’altra. Lei lo caccerà fuori di casa, scaraventerà persino le sue valige fuori dalla finestra; ci saranno litigi, schiaffi, scenate. Seguirà sempre una riappacificazione. Lui le è devoto come un cane, la assisterà sino all’ultimo istante: la imboccherà, le strofinerà la schiena, raccoglierà le sue ultime parole. Quel 29 luglio 1980 non è l’inizio di un idillio, ma lo spalancarsi di un abisso. Si salveranno e si distruggeranno a vicenda. È lei a battezzarlo Yann Andréa Steiner, a inventare quel nuovo nome per lui, come se fosse il personaggio di un suo romanzo – e in effetti lo diventerà. Elimina il cognome paterno, Lemée, e aggiunge il nome della madre: Andréa, che ripete la vocale a, creando un’efficace assonanza.
Dice: con questo nome potete stare tranquillo, tutti se lo ricorderanno, non lo si può dimenticare.
Duras è la scrittrice, l’ammaliatrice, la strega; lui il suo braccio destro, completamente succube della sua volontà, il doppio di un bizzarro sodalizio artistico. Yann batte a macchina ogni sua parola e così assorbe il ritmo e l’alfabeto dello stile durassiano. La segue nel proposito vitale di “scrivere l’ultimo libro”, perché ogni libro per Duras è l’ultimo libro. La scrittura è una componente fondamentale della loro unione; dopotutto è stata la freccia di Cupido che ha fatto scoccare la scintilla. Yann si è innamorato di Duras leggendo ciò che lei scriveva. In una delle sue più commoventi dichiarazioni d’amore le dice:
Il mio più grande dolore sarebbe non leggere più per primo una pagina scritta da te.
Quando lei non ci sarà più sarà lui a scrivere per lei, come lei, riprendendo dapprincipio quella valanga di lettere senza risposta che fu l’inizio della loro relazione. Un amore del genere non può avere giudizio, sebbene ci siano psicanalisti disposti a sprecare fiumi di inchiostro a riguardo: lui cercava in lei un surrogato della figura materna, eccetera. Ma niente di tutto questo è vero, o forse tutto è vero.
Nella seconda parte di Questo amore torna ossessiva una data: 3 marzo 1996, la morte di Marguerite. È il punto di non ritorno: Yann non riesce più a vivere senza di lei, ogni giorno rivive dentro di sé la scena dell’addio, “siete morta alle 8.15”, e si domanda come fare per raggiungerla.
La risposta la troverà nella scrittura, ma non sarà abbastanza: il 10 luglio 2014 Yann Andréa si toglierà la vita nel “loro” appartamento di Parigi. Aveva sessantun anni, la stessa età che aveva Marguerite Duras il giorno del loro incontro. Questo però è il finale non scritto, perché il romanzo di Yann si conclude con l’epifania di una riconciliazione. Termina di scriverlo alla fine del mese di giugno del 1999 e immagina che sia lei, Marguerite, a bussare alla porta della camera, chiedendo di entrare: “che gioia vedersi, eh?”
Non ci sarebbe che questo: questo cielo e voi e io in questo luogo blu che non possiamo vedere. Là dove ti porto, là dove si procede senza chiedere una direzione, là dove nessuno può perdersi. Qui, in questo cielo inventato saremo. Da nessuna parte.
È il lieto fine che nella vita manca, l’eternità impossibile cui tutti aneliamo. Yann Andréa, scrivendo questo libro, ha compiuto il più alto atto d’amore restituendoci un ritratto audace e commosso di Marguerite Duras, facendo rivivere la scrittrice nella sua essenza umana e, al contempo, divina.
Un libro del genere poteva scriverlo solo chi non poteva accettare un’esistenza dalla quale lei fosse esclusa: è un tentativo di resurrezione, forse dopotutto andato a buon fine. Il titolo originale francese, Cet amour là, non è casuale. Deriva da una canzone: India Song di Jeanne Moreau, il cui testo fu scritto proprio da Duras per il film omonimo.
La voce roca di Moreau è la nota tragica, ripetuta, che accompagna questo racconto dolente.
Chanson, tu qui ne vieux rien dire, tu que me parles d’elle…(…) de cet amour là, de cet amour mort.
È la colonna sonora dell’amore tra Yann e Marguerite, il film che consacra il loro incontro nel 1975 al cinema Lux di Caen. Sono numerose le canzoni che fanno da sfondo a questa storia, ciascuna è importante: c’è Capri, c’est fini il tormentone di Hervé Vilard che Duras amava canticchiare “è la canzone più bella del mondo”, Casta Diva della Norma che consacra la prima notte d’amore trascorsa dai due amanti alle Roches Noires. E La vie en rose di Èdith Piaf cantata a squarciagola di notte a bordo di una macchina che corre costeggiando l’oceano Atlantico. Cantano insieme e scoprono d’amarsi:
C’è da non crederci, siete così stonato, vi insegnerò io. E cantiamo insieme La vie en rose.
Ci fermiamo qui. Vorremmo lasciarli proprio in quel momento, al principio dell’estate dell’Ottanta, quando tutto è ancora possibile: perché la morte è lontana e vibra nell’aria una promessa di futuro.
Rimangono le parole d’amore, les mots d’amour, che compongono questo piccolo libro capace di valicare il confine sottile tra vita e letteratura.
È come se Yann Andréa rispondesse all’ultimo appello di Duras, da lui stesso raccolto nel “diario di dialoghi”, C’est tout, il “libro della scomparsa” pubblicato in Francia il 5 ottobre 1995, poco prima della morte della scrittrice.
Volevo dirlo - che ti ho amato.
Gridalo.
È tutto.
Questo amore
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