Rais
- Autore: Simone Perotti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Frassinelli
- Anno di pubblicazione: 2016
Viva la libertà, l’antico e potente nemico del potere. È per esprimere il suo essere libero che Simone Perotti scrive. Romanzi di mare, storie di spazi aperti, di superfici in movimento, di vite in azione. Nell’autunno dello scorso anno Frassinelli ha dato alle stampe “Rais” (pp. 516 pagine, euro 19,90), una nuova grande vicenda storica dell’autore frascatano di famiglia ligure, che si dichiara orgogliosamente “marinaio” ed è skipper e istruttore di vela.
Poco meno di dieci anni fa, superati i quarant’anni (in gergo marinaro si dovrebbe scrivere “doppiati gli anta”, ma qualcuno potrebbe pensare che ne abbia compiuti ottanta) Simone Perotti ha dato un calcio ad un’attività manageriale aziendale. Ha messo a frutto la sua passione per la navigazione e dato sfogo alla motivazione interiore che lo spingeva a cercare la libertà. Ha sostituito alle scrivanie una barca a vela, ha cambiato le carte aziendali con quelle nautiche, ha mollato giacca e cravatta e impugnato drizze e scotte, mettendo al vento rande, boma e spinnaker. Dalla tastiera del suo computer non sono più usciti bilanci d’impresa, ma pagine a caratteri di stampa.
Ha preso a seguire lo scopo vero della sua vita: navigare per scrivere, andare per mare per narrare. E viceversa.
Simone Perotti porta un orecchino al lobo destro. Un cerchietto, come i pirati. “Rais”, il più recente di una serie fortunata di titoli, è dedicato proprio a un signore della pirateria mediterranea, Dragut, l’ammiraglio ottomano, il terrore del nostro mare antichissimo nel XVI secolo, l’uomo al quale Perotti fa dire da anziano all’allievo Kadir che il momento più triste per un uomo è la vittoria. Dovrebbe dare soddisfazione e invece non porta che sgomento. La sconfitta, al contrario, regala una scossa, l’ansia febbrile della rivincita.
Dragut racconta la sua vita, fin da quando con l’amico Keithab erano stati arruolati tra i giannizzeri da giovanissimi. Arruolati per modo di dire, perché i soldati li avevano prelevati con la forza dal loro villaggio in Anatolia. Era il devsir, la leva forzata dei ragazzi, in cambio di un piccolo compenso ai familiari. Imbarcati di peso, stivati senza cura nel ventre dei battelli e scaricati ad Alessandria d’Egitto, i sopravvissuti al viaggio erano pronti per la scuola militare.
Fino a poco prima, Dragut correva libero. E correva veloce, molto più degli altri. L’amico Keithan invece era sempre l’ultimo, non si sa perché, a parte forse l’essere figlio di una cristiana ungherese.
In queste pagine, anche un’anziana, Dora, sviluppa il suo racconto, dialogando direttamente con l’autore. È stata sempre schiava. I pirati adriatici uscocchi l’avevano rapita dalla sua terra albanese con altre ragazze. Portata al mercato in un porto mediterraneo, era sta comprata da un mercante veneziano, che chissà come aveva intuito la sua bellezza sotto la sporcizia, la veste stracciata, i capelli rapati a zero, i lividi sul volto. L’avevano stuprata tante volte che aveva perso il conto. Da schiava, aveva visto per la prima volta Dragut. Potevano avere dodici, quindici anni.
C’è un altro anziano che racconta. È un cavaliere di Rodi, nell’isola di Malta assediata dai turchi nel 1565. Sta assistendo con preoccupazione all’arrivo di altre navi nemiche, al comando del feroce Dragut Rais. L’ultimo baluardo cristiano nel Mediterraneo è stato abbandonato al suo destino dai re europei e dal papa. Alla testa di poche migliaia di soldati, si oppongono all’orda ottomana solo i cavalieri ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, l’Ordine religioso-guerriero di Rodi, che otterrà il privilegio di denominarsi “di Malta” proprio per la coraggiosa resistenza sugli spalti isolani al dilagare della Sublime Porta.
Corre voce che Dragut stia per dare la fonda a Marsamuscetto. Il suo arrivo segnerà la fine di ogni speranza. La fine di tutto, anche della vita del terzo narratore, costellata di segreti, di trame e tradimenti, che lo hanno reso la spia più importante in campo cristiano.
“Sono l’unico cavaliere”, scrive, “ch’è stato educato dal nemico infedele, alla corte di Costantinopoli”.
È anche l’unico a conoscere il contenuto di una borsa di pelle e ferro. Racchiude un segreto importante, tanto importante da renderlo certo che l’imperatore e il pontefice si sarebbero impegnati a proteggere l’isola per proteggere quella borsa, se non per rispetto e riconoscenza verso l’Ordine. Ma era costretto a constatare che così non era.
Ha deciso per questo di scrivere un memoriale, sentendosi disperato per la prima volta nella sua vita e quindi libero di parlare.
Allestire un assedio è cosa lunga e neppure un colpo era stato ancora sparato, ma i difensori sono senza speranza, attendono solo la fine. Non meritano quella sorte, il mondo cristiano dovrebbe intervenire unito a difenderli. Sanno che non lo farà.
“Scrivo per vendetta, dunque, e perché sia resa giustizia. Che il mondo conosca il grande tradimento! Io e i tanti cavalieri morti per proteggere il più potente segreto di questa epoca abbiamo diritto alla verità della storia, quella che possono rendere solo i libri, armi più letali e a lunga gittata dei cannoni”.
Dice a se stesso che quando sarà di fronte a Dragut gli consegnerà il faldone e il testo, perché vengano pubblicati. A quel punto, ogni cosa sarà compiuta.
Dal racconto del rais, dalle interviste a Dora e dal memoriale della misteriosa spia, nasce e cresce questo romanzo, un inno alla libertà.
Rais
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