Raviole rosse
- Autore: Cinzia Marescalchi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2022
Rosa è nata a fine aprile, non cercata, non voluta e all’inizio nemmeno accettata. Una gravidanza inaspettata, un’altra bocca da sfamare, un’altra femmina, per giunta. Un anno particolare quel 1957, l’aria era ancora fredda in Emilia.
Sessantacinque anni dopo, alla fine dell’estate 2022, Cinzia Marescalchi ha pubblicato per Epika Edizioni il romanzo Raviole rosse (Valsamoggia-Bologna, 164 pagine), racconto della vita “semplice, ma non facile” della figlia di una famiglia bolognese non benestante, poi ragazza, madre e nonna. Una sorta di diario, tra il quotidiano e il sentimentale.
Rosa? In casa e fuori è “la Rosa”, da quelle parti si usa far precedere i nomi femminili dall’articolo determinativo, un simpatico modo di caratterizzarli.
L’autrice, Cinzia Marescalchi, come Rosa è nata nel 1957, a Bologna. Vive a Valsamoggia. Diplomata nel 1976 perito aziendale e corrispondente in lingue estere, ha lavorato in uno studio notarile, prima di sostenere un concorso pubblico del Comune di Zola Predosa e di operare dal 1990 alla pensione in un asilo nido.
I bambini sono sempre stati una “costante gioiosa” di vita, tanto da ispirarle la scrittura di racconti per l’infanzia.
In questo romanzo - di cose semplici ma non banali, che profuma di bucato pulito e di buona cucina (le raviole rosse sono dolci tipici di marmellata) - disegna il ritratto di una donna tanto più “tenace” perché consapevole delle proprie fragilità.
Non le sfuggono le avversità intorno, gli anni della sua infanzia sono poveri per tanti italiani e quelli della sua giovinezza neanche belli, in una Bologna scossa dallo stragismo e dal terrorismo politico. Eppure non si scoraggia, cerca sempre il lato positivo delle cose, aspetta con fiducia un futuro sereno, se non migliore.
Sono cresciuta nella miseria, nella dignità, nel rispetto e nell’amore, tutto ciò ha fatto di me la persona che sono ora e mi ha reso possibile affrontare al meglio gli ostacoli che la vita mi ha riservato.
L’hanno chiamata Rosa come la nonna e da quel momento hanno cominciato ad amarla. È cresciuta bene, nella pulizia della modesta abitazione e delle povere casette affacciate sul cortile polveroso. Tanti altri appartamenti modesti.
Dalla cucina, una scala ripida di legno comunicava con l’unica camera da letto. Il bagno non c’era, solo un gabinetto e ci si lavava in una grande bacinella di ferro, portata in cucina quando serviva.
Poco dopo si sono trasferiti in un alloggio molto più grande nello stesso cortile. Dalla porta, diciassette gradini di una scala svettante di pietra conducevano a una porta ulteriore, che dava accesso a un piccolo atrio quadrato. A destra un corridoio lungo e stretto con due grandi camere da letto. A sinistra una piccola cucina e il bagno, da sogno, finalmente una vera vasca, che meraviglia lo scaldabagno a legna per l’acqua calda.
Pur essendo un bravo cuoco, per sfamare la famiglia papà Giovanni faceva il rottamaio, “al sulfaner”. Ritirava con un motociclo scarti ferrosi dalle aziende e s’industriava a venderli. La mamma era molto brava nel cucito e si prodigava da pantalonaia. La sorella maggiore Rita aveva dodici anni di più ed è andata via di casa a diciannove, sposa e madre di Mirko, arrivato in compenso come un fratellino per la ragazzina.
Il cortile era la sua vita e tutto il suo mondo. Le famiglie erano molto legate tra loro. Ci si conosceva, ci si aiutava, nessuno era distaccato o poteva sentirsi solo perché gli altri c’erano sempre, fisicamente e moralmente. I piccoli stavano con quelli più grandi, che istintivamente si prendevano cura di loro. Nessuno l’aveva insegnato, eppure andava avanti così, era naturale. “Era bello”.
Il voltone, il portico, proteggeva dalla pioggia, permettendo di giocare fuori anche con il brutto tempo.
Una vita tanto diversa da oggi, il cuore contava più del portafoglio e la televisione in casa restava accesa pochissimo, le trasmissioni cominciavano soltanto nel pomeriggio, alle 17: non si poteva vedere altro che primo o secondo canale Rai, in bianconero, più che altro grigio o seppia. C’era poco da isolarsi a seguirla durante il giorno.
La Rosa cresce, intanto incrocia tanta gente, vive esperienze, osserva eventi, registra cambiamenti personali, collettivi, sociali, nazionali, mondiali. Si misura con accadimenti affrontati tra il consapevole il tenero, il sorriso e il mandato giù comunque, sempre con fiducia nel futuro.
Chi l’avrebbe mai detto che sarebbero successe tante cose dal quel lontano 1957?
Rosa mette in fila “tante pedine” che si muovono in una grande scacchiera, dove il gioco cambia continuamente, rinnovandosi con pezzi sempre nuovi.
Si dice fortunata, per quello che la vita le ha dato e ripete che se si vuole ricevere bisogna prima dare, ch’è quanto di più grande si possa fare, riempie di gioia, fa stare bene, dà un senso all’esistenza.
Prima o poi c’è sempre un ritorno.
Con Franco ha messo al mondo le sue quattro “splendide donne”.
Avevano solo Valentina, quando un ragazzo di colore offrì loro sulla spiaggia cinque elefantini di legno, dicendo che nel suo paese simboleggiano la famiglia e portano fortuna. Cinque, come i pezzi della famiglia che si sarebbero aggiunti nel tempo.
A distanza di anni, gli elefantini di legno sono ancora sul mobile in sala, in fila:
uniti in cammino verso una meta indefinita ma sempre insieme.
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