Reykjavík Café
- Autore: Sólveig Jónsdóttir
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Sonzogno
- Anno di pubblicazione: 2015
Se amate la commedia brillante, tutta al femminile, che vi faccia al contempo riflettere sulle situazioni più comuni della vita, abbiamo da suggerirvi il romanzo che fa per voi.
Dopo avere scalato le classifiche in patria, è arrivato da poco nelle librerie italiane, pubblicato dalla casa editrice Sonzogno, “Reykjavík Café”, l’opera d’esordio dell’islandese Sólveig Jónsdóttir. Gli autori nordici possiedono una marcia in più, sarà per il fatto di ricreare luoghi freddi ed isolati, dove viene ad instaurarsi un vero e proprio “microcosmo”; con quella neve che cade copiosa, il buio che avvolge a lungo le cose e quel senso claustrofobico che sembra attanagliare, quando gli eventi si mettono male e, in apparenza, non vi è più scampo.
Hervör, Karen, Silja e Mía sono le quattro protagoniste di “Reykjavík Café”, che con le loro storie si alternano nei vari capitoli. In realtà, non si tratta di episodi sconnessi l’uno dall’altro né a sé stanti, poiché, a loro insaputa, o semplicemente per strane coincidenze, i loro destini si incrociano di continuo.
Le quattro donne non si conoscono fra loro, ma sono accomunate dal fatto che hanno tutte la stessa età, ventisette anni e, se consentite l’osservazione peculiare, amano il caffè, considerato una sorta di “panacea rigenerante” dai mali della vita.
Hervör è un’avvenente ragazza che sogna di viaggiare, ma spreca le sue energie in una relazione sterile e priva di futuro con un attempato professore universitario. In attesa di tempi migliori, fa la cameriera al “Reykjavík Café”, insieme all’amico e collega Georg.
“La cosa migliore da fare per lei poteva essere quella di dare una svolta alla sua vita e andarsene per un anno o due. Sprofondare ancora di più nel passivo della MasterCard e almeno spassarsela un po’. Avrebbe potuto trovarsi qualche lavoretto mentre era in giro per il mondo. Raccogliere fiori di gelsomino per le maison di profumi francesi, o magari chicchi di caffè in Colombia. Raccogliere per giornate intere e nel frattempo trovare se stessa. Nel frattempo lui quanto ci avrebbe messo a trovarne un’altra da portarsi a letto? Non molto”.
Mía lavora in un negozio di vestiti per “taglie forti” quando, dopo anni di convivenza, il suo amato Daniél le confessa di essersi innamorato di un’altra donna. Fra l’altro, una tipa coi capelli radi e le orecchie a sventola, uno smacco che farà ulteriormente precipitare l’incredula Mía nella disperazione più totale, tanto da indurla a perdere il lavoro e a finire oberata dai debiti.
Silja è un medico che, tornando a casa dal turno di notte, scopre il marito Baldur a letto con un’altra. Il “vizio” non è estraneo al consorte, dongiovanni incallito, tanto che dopo dieci anni di matrimonio lei non è mai riuscita a perdonarlo, né a fidarsi di lui completamente.
Karen, la più fragile del gruppo, dopo aver subito un grave lutto si è data all’alcol e alle serate trasgressive nei locali, dove puntualmente viene abbordata dal maschio di turno e finisce ubriaca nel suo letto. Karen abita con i nonni, quindi tenere nascosta questa sua doppia vita di essere umano che non vive, ma semplicemente “esiste”, diventa ancora più faticoso.
Si tratta di donne che hanno perso tutto. Tutto quello in cui avevano sperato e per cui avevano lottato, e che improvvisamente si sentono stanche e sole. Sono disperate, perché percepiscono di non avere più una dignità.
“E adesso? Che cosa faranno?” è una domanda che giunge spontanea, leggendo queste pagine. Complice il fatto di trovarsi su un’isola vicino al Circolo Polare Artico, di essere nel paese meno popolato al mondo: cose che contribuiscono ad aumentare l’empatia e la preoccupazione per queste ragazze.
Eppure, ciascuna di loro, dopo avere incrociato la storia con quella di molti altri personaggi, saprà trovare la forza dentro di sé per superare il momento buio- che in Islanda cade a pennello- e ribaltare le sorti della propria esistenza.
Nonostante l’ambientazione a noi inusuale, queste sono storie nelle quali è possibile immedesimarsi. Certo, se i nomi dei numerosi personaggi che compaiono fossero meno difficili da pronunciare e magari più memorizzabili, il lettore avrebbe compreso da subito i gradi di parentela o le situazioni che essi condividono. Invece, un quadro chiaro dell’intera storia lo abbiamo soltanto dopo avere letto i primi capitoli.
“Reykjavík Café” di Sólveig Jónsdóttir è come un diesel: d’impatto, non suscita particolare interesse. Ma vi assicuriamo che, a mano a mano che si legge, la storia si materializza davanti ai nostri occhi come fosse un film. Le quattro donne diventano familiari, si impara ad amarle. Per questo asseriamo con certezza che se leggerete questo romanzo, alla fine esse vi mancheranno come raramente accade.
Reykjavìk café
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Islanda: un Paese per molti ancora semisconosciuto. C’è da scommettere, innanzitutto, che i più avranno letto “Irlanda”. No, no, si parla proprio di quella lontana isola quasi attaccata alla Groenlandia: difficile pensare che entrambe facciano comunque parte dell’Europa. Eppure, la vita degli islandesi non si svolge negli igloo: al contrario, non è molto dissimile dalla nostra. Quanto alle donne islandesi, in termini di vite problematiche e delusioni amorose potrebbero gareggiare con le italiane, nonché con più o meno tutte le altre europee, dalla Russia al Portogallo all’Irlanda stessa.
E questa altro non è che la storia di quattro donne, con le loro sconfitte e le loro riprese, i loro problemi, le notti alcoliche e le giornate di depressione, l’eccessiva tendenza a perdonare e gli scheletri nell’armadio che saltano fuori al momento meno opportuno. Quattro donne che, senza conoscersi, si sfioreranno varie volte nel corso del romanzo, finché, in un’occasione, due di loro si scontreranno decisamente. Una situazione che potrebbe apparire irreale a chi non conoscesse la situazione islandese, nella quale è assolutamente normale, se non conoscersi praticamente tutti, incrociarsi, anche inconsapevolmente, varie volte durante la vita. Basti pensare che l’Islanda ha un solo elenco telefonico, ed è un Paese che non conosce cognomi, ma soltanto patronimici.
Il Reykjavik Café è il locale in cui lavora Hervör, una ragazza dolce e solare ma insoddisfatta, che amerebbe viaggiare e fare nuove esperienze, ma si adatta al suo ruolo da cameriera e a una relazione di solo sesso con un anziano professore; peraltro, neppure lei ne è innamorata, e, col tempo, i loro rapporti sono diventati niente altro che un “bisogno primario”. Un giorno, al caffè capita Mía, la ragazza dagli splendidi capelli e dal cuore spezzato: nel giro di poche ore si è ritrovata senza il suo uomo, Daníel, che l’ha lasciata per Auður dalle orecchie a sventola, e relegata in una minuscola mansarda con tutti i propri (pochi) averi. Dulcis in fundo, frustrata da un lavoro “di ripiego” che non ha niente a che vedere con i suoi studi e con le sue aspirazioni. Il rimedio che Mía, in preda alla disperazione, tenta per risollevarsi è una notte alcolica. Pessima idea: in men che non si dica si ritrova al pronto soccorso. La gentile dottoressa che la cura, Silja, non vede l’ora di terminare il turno di notte per tornare dal marito Baldur. Peccato che, una volta entrata in casa, incroci sulle scale una ragazza bionda che la guarda dapprima sbalordita, poi umiliata e le sussurra “Scusami”. Purtroppo Baldur non è nuovo a certe avventure, e quella è la goccia che fa traboccare il vaso di Silja, più arrabbiata con se stessa che con lui, per averlo giustificato per dieci lunghi anni. Nel frattempo Karen, la bionda, rientra a casa dai nonni, inviperita con se stessa per le sue brutte abitudini di bere, fumare e finire nel letto con uomini che le nascondono la loro condizione. Ma il suo passato senza genitori e un terribile lutto le hanno lasciato un segno troppo profondo…
La storia, benché scorrevole, non sarebbe niente di speciale, se non fosse per la suggestiva ambientazione islandese, che, pur non descritta, si percepisce da ogni parola, e non solo dai nomi delle persone o delle strade. E’ una scrittura lieve, sottile, velata di tristezza ma anche di magia, quasi simile al canto di una saga antica e lontana, anche se descrive situazioni dei giorni nostri.