Ricomporre armonie. Poesie 1992-2006
- Autore: Bruno Lauzi
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2020
"Ricomporre armonie
spezzate dentro
gli antichi colonnati
i peristilii
oggi precipitati.
Equilibri di sfere
i mari interni
i lampi luminosi
ed i sorrisi
enigmatici e chiusi
della classicità.
Queste, e altre cose ancora
sono la poesia
da ritrovare.
Questo bisogna fare".
Suona quasi come un manifesto programmatico il componimento che apre la raccolta Ricomporre armonie. Poesie 1992-2006 di Bruno Lauzi (OLTRE edizioni, 2020), che si compone di tutte le poesie scritte dal celebre cantautore e compositore nel corso della sua vita. Il volume si apre quindi con i testi contenuti in I mari interni, per poi proseguire con Riapprodi ed Esercizi di sguardo, e concludersi con Agli immobili cieli e I solitari, coprendo pertanto un arco temporale che inizia nel 1992 e arriva al 2006, anno di morte dell’artista genovese.
La sua opera omnia in versi, riunita per la prima volta in una sola pubblicazione a cura di Francesco De Nicola per OLTRE edizioni, accoglie quindi e alterna con eleganza le tematiche caratteristiche della sua poetica, a partire da quelle legate al paesaggio ligure e del centro-nord Italia in generale, passando per il canto dell’amore e della giovinezza e approdando a un magistrale ritratto dell’essere umano, nella sua sfaccettata complessità postmoderna.
Con una simile premessa, si penserebbe che le sue parole siano quindi destinate a un pubblico colto, in grado di cogliere determinati riferimenti e di gustare fino in fondo la preziosità delle sue scelte liriche. In parte, naturalmente, è così, ma in gran parte va sottolineato a scanso di equivoci che la lingua di Lauzi è sempre piana e fresca. L’ironia e i paradossi che la contraddistinguono non la rendono mai elitaria, al massimo enigmatica come qualsiasi poesia che si rispetti, eppure al tempo stesso illuminata da significati limpidi e immediati da raccogliere.
"Scusami se m’affaccio / sul precipizio / e di te mi dimentico, / ma m’è parso sentire / più che una nota, un suono / provenire dal fondo. / Curioso come sono / devo andare a vedere / se è il respiro del mondo / o, di rimbalzo, / un battito del cuore. / O m’han fatto uno scherzo?", si legge per esempio a pagina 52, mentre poco più in là Redde nationem recita: "Ma prima o poi / dinnanzi a voi verrà / l’uccello lira / della verità: / comparirà dal vostro / teleschermo / o inaspettato / da un foglio di giornale… / dalle stanze più interne / della casa / correranno curiosi / i tuoi bambini / cui quel canto sgraziato / farà male / però comunque l’incuriosirà… / chiederanno: "Papà, / cosa vuoi dire?". & E tu dovrai tacere. / E non morire" (p. 95).
Il suo è, dunque, un passo di danza leggero e sapiente, seguendo il quale quasi ci si dimentica di non averlo mai conosciuto di persona, di non essere il soggetto che prova certi slanci, di non avere scritto a propria volta un diario emotivo in grado di diventare la colonna portante di tutta una vita. Né, d’altronde, è casuale questo parallelismo con le sette note: la capacità dello scrittore di affidarsi a un ritmo musicale, nel senso più letterale del termine, è infatti lampante a ogni pagina e fa da accompagnamento d’eccezione a chi volesse provare a scandire ad alta voce i suoi versi.
Sbalorditiva risulta, inoltre, la sua mancanza di paura nel servirsi delle più evidenti ripetizioni sfruttandole a suo vantaggio (cfr. "È lunga / l’onda / e / lungo / è il lungomare… / m’allungo sulla sabbia a disegnare / con la punta dell’alluce /segreti / improbabili viaggi della mente / che non vorrei mai fare veramente / ma fingo / per tenermi in silenzio. / L’attesa del tramonto / è un vecchio vizio…", p. 120) e la scelta di dedicare un’intera silloge alle divinità dell’Olimpo parlando, "non potendo descrivere la potenza" delle quali è popolata in realtà da sole storie di uomini (viandanti, testimoni, orologiai, astronomi, cubiste, ciechi, pittori e perfino truffatori).
Come se non bastasse, una ricca appendice ripropone la versione manoscritta della sua raccolta Poesie contromano (poi confluita in Riapprodi) e, per tutti coloro i quali arrivano alle ultime liriche con lo struggente desiderio di leggere ancora qualcosa di Lauzi, il poeta sembra non a caso concludere l’opera rammentando a tutti che, in un modo o nell’altro, "riprenderemo il dialogo sospeso" (p. 173).
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