Rimbaud il figlio
- Autore: Pierre Michon
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2005
Pierre Michon, autore molto noto e premiato in Francia, ha dedicato nel 1991 un volume ad Arthur Rimbaud, ripercorrendone non solo la tribolata e breve esistenza, ma anche la genesi della magistrale produzione poetica, incastonata come un gioiello all’interno di un’epoca di febbrile creatività artistica, e di altrettanto vivaci polemiche letterarie.
Rimbaud il figlio, quindi: figlio non solo di una famiglia piccolo borghese di Charleville, provinciale e conformista cittadina delle Ardenne; non solo di una mamma ignorante e ossessionata dal culto delle apparenze (“Vitalie Rimbaud nata Cuif”); ma di un ambiente culturale rifiutato rabbiosamente, che seppe per antitesi partorire un genio, ribelle e incompreso, sì, ma splendente di luce propria.
La scrittura di Pierre Michon, raffinata e lieve, funambolica e lirica, sospesa tra un barocchismo onirico e il gusto celebrativo, ben si accorda a descrivere l’esistenza del giovane poeta, accompagnandola nelle sue evoluzioni e nei suoi silenzi, e soprattutto nelle sue illuminazioni creative.
La casa editrice emiliana Mavida ha riproposto questa estetizzante biografia rimbaudiana nel 2005, con traduzione attenta di Maurizio Ferrara e inquietanti illustrazioni di Isabella Branella.
L’interesse di Michon giustamente si focalizza sulle figure di contorno, che servono da sfondo e contrasto a far meglio risaltare l’eccezionalità del poeta maudit. Il padre assente, capitano di “guarnigioni lontane”; la vampiresca madre Vitalie, donna “sofferente e malvagia… creatura d’imprecazione e di disastro”; il delicato e romantico insegnante di lettere del liceo, Georges Izambard, convinto che la poesia dovesse rappresentare il buono e il bello del vivere. Tutti e tre questi personaggi ottennero con la loro sola presenza all’ombra di Arthur di provocarne l’insubordinazione, il ribollente rigetto di ogni convenzione, di ogni abitudine, di ogni tradizione. Il ragazzo fugge da Charleville che non sopporta, macina chilometri a piedi, arriva in Belgio, forse va a Parigi nei giorni rivoltosi della Comune. Con la protervia e la presunzione dei suoi pochi anni, invia i suoi versi ai poeti parnassiani contemporanei, come Banville o Demeny, onesti ma banali, che li leggono con stupore e spavento:
“Là dove è passato vedono un grande solco che taglia in due il campo della poesia, rigettando da un lato il vecchiume, pieno certamente di belle opere, ma vecchiume, e dall’altro il fiero podere devastato del moderno, dove forse non cresce niente, ma è moderno”.
Entra prepotentemente in questa storia “Verlaine con un cappello derby sul marciapiede della Gare de l’est”, la passione tormentata con il poeta ventisettenne stilisticamente più tradizionale di lui, i vagabondaggi in giro per l’Europa, gli eccessi e l’assenzio, l’alcol e le provocazioni scandalose, la gelosia folle che esplode nello sparo “all’ala dell’arcangelo atterrito”, in una letargica Bruxelles.
E poi ancora inquietudini e solitudini, le Bateau Ivre composto a diciassette anni, Une Saison en enfer scritto di furia e di nascosto nel solaio di una fattoria di Roche, ritorni rancorosi in famiglia e di nuovo fughe a Parigi, dove si lascia fotografare dal famoso ritrattista Carjat, nell’unica immagine giovanile che ci rimane: biondo, spettinato e sfinito, occhi chiari e spaesati. Poi mestieri di ogni genere, l’Italia e l’imbarco per l’Abissinia, la rinuncia alla scrittura.
“…andare a crepare in quell’insulso Corno d’ Africa, in mezzo a popolazioni senza corde da toccare, dove gli unici maestri sono il deserto, la sete, la Sorte, tutti i sovrani poco visibili e insabbiati come sfingi, ma sovrani, capitani, che mormorano ineffabili allarmi nel vento sulle dune, con le trombe fantasma del vento”.
Quindi il tumore alla gamba, l’amputazione con la sega a Marsiglia, la morte a 37 anni.
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