Roma in fiamme
- Autore: Roberto Fabbri
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
Roma è nelle mani di Nerone. L’impero, l’esercito, i funzionari, tutto sotto il controllo totale di una “creatura terribilmente volubile”. Anche il Senato è in suo potere: gli uomini più ricchi e nobili sono ai suoi piedi, consapevoli di aver perso l’onore pur di conservare la vita. Una vita senza onore è meglio di una morte senza onore, di questo non hanno dubbi nell’Urbe, nel 63 dopo Cristo, l’anno in cui si svolge “Roma in fiamme”, il nuovo romanzo storico di Roberto Fabbri, pubblicato a gennaio da Newton Compton (371 pagine, 9 euro in versione cartacea, 4.99 l’eBook), ottavo titolo della serie Il destino dell’imperatore, a firma dello scrittore svizzero naturalizzato britannico. Il precedente, “La furia di Roma”, è uscito nel 2016, sempre per i tipi Newton Compton, come tutti gli altri.
L’imperatore di questa saga è però Vespasiano, che in questo romanzo è in Africa, governatore di quella provincia nel nome di chi siede sul trono di Roma.
Di passaggio, prima di arrivare alle vicende africane del discendente dei Flavii, Fabbri incastona nel racconto la condanna a morte di Paolo di Tarso. Convertito al Cristianesimo, ma pur sempre cittadino romano, l’ex ebreo ha ottenuto udienza presso Nerone, su intercessione di Lucio Anneo Seneca, precettore dell’attuale imperatore prima di cadere in disgrazia dopo l’ascesa del segretario imperiale, il liberto Epafrodito, nei favori dell’irritabile figlio di Agrippina.
Paolo, già esecrato dal giovane monarca perché cristiano, è accusato di sedizione per aver diffuso la nuova religione monoteista che nega gli dei del Pantheon romano. Nerone è in una delle sue giornate no e commina all’istante la pena capitale per quell’uomo basso, stempiato, con le gambe storte e l’espressione serenamente indifferente. È così che viene descritto Paolo. Non ha avuto modo di aprire bocca e viene rinchiuso nel carcere Tulliano: l’imperatore è convinto che la sua morte potrà tornargli utile, a tempo debito.
A grandissima distanza da Roma, nel deserto libico, nei pressi della città di Garama, Tito Flavio Vespasiano si pente d’aver sfruttato la posizione a palazzo della sua amante Cenis per ottenere da Nerone e dal liberto un incarico in un luogo tanto dimenticato dagli dei.
Ci si è messa anche quella serpe di Poppea Sabina e Tito non sa spiegarsi i motivi dell’ostilità dell’imperatrice nei suoi confronti. È stata lei a pretendere che venisse imposto al neo governatore di occuparsi della liberazione delle centinaia di cittadini romani in schiavitù nelle fattorie del regno dei Garamanti.
Se non altro Garama, la capitale, 400 miglia a sud di Leptis Magna, è un’oasi felice in mezzo al deserto. La raggiunge in compagnia del liberto Hormus e del vecchio amico Magno, uno degli uomini più brutti ma validi sulla Terra. Di scorta ci sono undici littori e un reparto di ottima cavalleria numida. Dovrà riuscire in un negoziato col re Nayram, ben sapendo che se avrà successo il merito andrà a Nerone, ma se dovesse fare fiasco come tutti gli altri in precedenza sarà meglio non tornare, come gli ha fatto capire Poppea.
Vespasiano offre al grasso Nayram, signore dei mille pozzi, 500 grosse perle in cambio della libertà dei cittadini romani in schiavitù. Nell’occasione, ritrova uno degli uomini più odiati a Roma, Catone Deciano, l’ex procuratore della Britannia fuggito dopo aver scatenato la sanguinosa rivolta nella provincia, per aver derubato la regina degli Iceni, averne ordinato la fustigazione e lo stupro delle due figlie. Abbandonati ai Britanni, Vespasiano e i suoi soldati sarebbero morti se Budicca non si fosse dimostrata più leale di quel traditore, ora alto dignitario a Garama.
In quella città-oasi nel deserto, gli schiavi sono in numero enormemente maggiore degli oziosi Garamanti, per conto dei quali svolgono tutti i lavori, controllati da un nucleo di robusti guardiani. L’arrivo di Tito e la partenza con i cives romani, mercè un ben compensato accordo con Deciano, provocano una ribellione. I Romani devono combattere un po’ contro tutti e dappertutto, anche contro alcuni numidi che ci sono ribellati ai loro ufficiali e galoppano verso Leptis Magna distruggendo le anfore d’acqua disseminate nei depositi lungo il percorso. Dietro di loro, il gruppo di Vespasiano rischia di restare senza, a due settimane di cavallo dalla costa.
Tra le sabbie bollenti si scatena una corsa disperata con in palio la sopravvivenza. Bene o male il problema viene risolto, ma se ne presenta un altro: l’insufficienza del cibo nel deserto per nutrire una carovana che ora tocca le 250 unità. Gli amministratori di Leptis Magna si rifiutano di rifornire la pattuglia inviata dal governatore, convinti che questi soccomberà sotto il sole. Non hanno fatto i conti con le qualità di Vespasiano e la sua crudele ma esemplare pratica della giustizia.
Anche un giusto, però, è sempre in pericolo quando un reprobo agisce contro di lui: Deciano salpa per Roma ed avrà parecchie settimane di vantaggio per diffondere una falsa versione sulle vicende in Britannia ed ora in Africa, ma occorre attendere l’arrivo del governatore sostituto, prima di poter tornare nella città eterna.
Resta da spiegare il titolo, Roma in fiamme. Il fatto che si parli di persecuzione dei cristiani dovrebbe portare sulla strada giusta… non c’è nemmeno da continuare, solo da leggere, scoprendo che Nerone si comporta come un’autentica bestia famelica.
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