Sacrifici umani e guerriglia nell’India britannica
- Autore: Stefano Beggiora
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2010
Sacrifici umani nell’India tribale, ancora nell’età della penetrazione coloniale inglese tra il XVI e il XVIII secolo. Il sangue delle vittime offerto in dono alla Madre Terra, per propiziare la prosperità dei raccolti. Sembra la trama di un romanzo dell’orrore di Stephen King, ma è l’argomento di un saggio antropologico, Sacrifici umani e guerriglia nell’India britannica , in prima edizione nell’ottobre 2010 per i tipi della casa editrice Itinera Progetti di Bassano del Grappa (274 pagine, 25 euro), a firma di di Stefano Beggiora, docente del Dipartimento di studi sull’Asia e sull’Africa mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Anche attraverso gli scatti del freelance Fulvio Biancifiori (64 fotocolor, scattate nell’attuale regione dell’Orissa e Andra Pradesh), documenta la sopravvivenza del sacrificio di sangue tra gli eredi della tribù Khond. È il meriah, celebrato ovviamente in forma simulata, come mera sublimazione rituale del dono alla Terra.
Il volume rientrava nel progetto di Indoasiatica, una collana Itinera Progetti di monografie sulle civiltà asiatiche tradizionali. Senza rinunciare al rigore scientifico e proponendo letture affascinanti, alla portata anche del non specialista, si voleva andare contro gli schemi editoriali che generalmente imprigionano le pubblicazioni orientalistiche “nella torre d’avorio dell’accademia”.
Tutto vero, ma ovviamente la collana e i testi (due quelli pubblicati, l’altro è “Il mistero della morte”, sempre ottobre 2010) finivano per rivolgersi ad una parte ridotta del pubblico, gli appassionati di saggistica storica incuriositi dagli aspetti geografici, etnografici e antropologici. Non tanti lettori, dopotutto.
Il volume è un saggio indubbiamente ben confezionato, con abbondante richiamo di note e una cospicua bibliografia. Se l’impianto generale segue uno sviluppo per addetti ai lavori, resta per i più la curiosità per i sacrifici umani tra i Khond, ai quali a conti fatti non ha mai assistito nessun occidentale. Tantomeno li avevano osservati gli ufficiali della Compagnia delle Indie Orientali, che pure diffusero con raccapriccio notizie di questa cerimonia tribale, condannandola come una tradizione barbara. Non uno dei militari britannici ha visto di persona quei riti brutali nel 1836, guidando le truppe coloniali nell’inesplorata regione ribelle dell’Orissa.
È comprensibile però la macabra attrattiva esercitata sugli europei. L’insistenza del sanguinario e del magico (che ai nostri tempi abbiamo ritrovato perfino nella seconda pellicola delle avventure del prof. Indiana Jones) venne opportunamente sfruttata per giustificare l’invasione, l’occupazione e il genocidio, attuati per conto della corona britannica dalle truppe indiane meridionali, i sipahi, al servizio della Compagnia e al comando di professionisti anglosassoni della guerra.
La repressione della rivolta di un raja del Mayurbhanj, inseguito fin nel suo territorio a nord dell’Orissa, trovò un’inattesa legittimazione nella presunta lotta alla barbarie. L’incursione si trasformò in un atto di giustizia nei confronti degli “orribili” Khond.
Far cessare un rito disumano divenne il pretesto per scatenare una campagna coloniale, che in quanto a crimini commessi in nome della civiltà occidentale non si discostò troppo dal genocidio che verrà commesso decenni dopo nel mitico Far West contro le popolazioni native (chiamate Indiani, curiosamente).
Lo studio del prof. Beggiora è un volume di storia che cerca di suscitare interesse nei confronti delle culture tribali del subcontinente indiano. Una sezione del lavoro fa luce sull’impatto del colonialismo e sulla difficoltà per la società occidentale di comprendere i valori di una civiltà antica, millenaria e composita qual era quella indiana.
L’autore in Sacrifici umani e guerriglia nell’India britannica ricostruisce le guerre tribali che insanguinarono l’Orissa per quasi mezzo secolo. Abbiamo visto come l’esigenza di contrastare il rito del meriah giustificasse ideologicamente spedizioni militari volte in realtà a punire maharajà instabili, incamerando i loro ricchissimi averi ed occupando territori in nome della civiltà superiore britannica. Ma è chiaro che andare ad impedire che tribù selvagge si macchiassero di orribili rituali era solo la faccia presentabile delle altrettanto orribili meriah wars, scatenate dalle colonne inglesi.
Il sacrificio umano, vero o presunto, venne trasferito nell’immaginario collettivo come l’indicibile esercizio di un culto pagano e barbarico, praticato nel folto di giungle sconosciute da selvaggi assetati di sangue. Poco importava che di tali olocausti sanguinari non esistessero prove dirette e che nemmeno le stesse modalità del rito fossero mai state chiarite. Quello che veniva indicato alle sensibilità europee era che “i bravi britannici” mettevano a repentaglio le loro giovani vite contro “i sanguinari Khond”. Una vulgata degna dei misteri salgariani della jungla nera.
Sacrifici umani e guerriglia nell'India britannica. Dal genocidio in nome della civiltà come genocidio
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