Samuel, Murphy e io
- Autore: Gabriella La Rovere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Gabriella La Rovere è giornalista, medico, autrice di teatro e scrittrice. Ha dedicato la sua intera vita allo studio dell’autismo, numerosi articoli scientifici pubblicati portano la sua firma ed è stata proprio la ricerca a condurla a Samuel Beckett.
Non aveva mai letto nulla dello scrittore irlandese, nonostante fosse stato, scrive, un autore importante dell’ultimo anno di Liceo; lo aveva evitato e scordato nel tempo.
Ho in comune con questo autore la neurodiversità che è entrata a far parte della mia vita trent’anni fa.
E non solo, leggendolo ha rivisto nei suoi comportamenti e stili di vita sé stessa e la sua adorata figlia. L’autrice era un’adolescente solitaria che legava poco con le compagne di classe, studiava, leggeva molti libri e praticava sport: fragile, sensibile e con attacchi di panico che le hanno condizionato la vita, proprio come Beckett.
Sentirsi straniera tra simili e alla fine farsene una ragione è il leitmotiv che mi unisce a lui.
Quando si è imbattuta in Beckett non pensava di poter scrivere questo saggio. Lei si è sempre impegnata in lavori scientifici e mai avrebbe scritto di letteratura. Con la prima lettura di Murphy si è sentita smarrita all’interno delle parole del romanzo, e solo con la seconda avrebbe iniziato a comprenderne la storia.
Non è facile leggere Beckett. Ci ho messo veramente tanto. L’ho letto in maniera intensa, fermandomi passo passo, tre volte per intero. Più tutte le altre volte che sono andata a prendere appunti, lo sfogliavo, lo rileggevo. Beckett ha un modo di costruire le frasi che per noi è estraneo, però ha un suo fascino e un suo significato.
Lo scrittore irlandese aveva dieci anni quando scoppiò la guerra civile e fu costretto a vivere in costante allarme: aveva un’intelligenza fuori dal comune, ma con enormi difficoltà a inserirsi nei contesti sociali. Da brillante e spiritoso passava a chiudersi nel silenzio, in uno spazio-tempo inaccessibile agli altri.
Studiò l’italiano al Trinity College, si dedicò alla lettura di Dante, Machiavelli e D’Annunzio. Poco più che ventenne entrò nel giro degli scrittori e degli editori che vivevano a Parigi: frequentò James Joyce e Sylvia Beach.
Fu incapace di insegnare, guardava spesso dalla finestra e a fine lezione scappava via per non fermarsi a parlare con gli studenti. Era sempre alla ricerca di un’ispirazione per scrivere. Gli echi della guerra erano vicini e la carriera letteraria di Beckett si fermò. Una vita non facile tra cadute, censure, amori e scarsa disponibilità economica.
Il bisogno di scrivere era prepotente, ma lo sforzo e l’impegno richiesti per un nuovo lavoro erano superiori alle sue forze.
Nel 1969 una telefonata gli conferiva il premio Nobel; la notizia non gli interessò più di tanto, mentre la comunità irlandese non gli perdonò mai di aver scritto le sue opere in lingua francese. Sempre più fragile con la vista che lo stava abbandonando Beckett scrisse Murphy. L’opera nacque nel 1935 come racconto, e poi divenne un romanzo pubblicato nel 1938, nel quale il protagonista evita qualsiasi cosa possa riguardarlo, compreso il lavoro.
Murphy cerca di non fare nulla, ma inevitabilmente fa poi qualcosa nonostante tutti i suoi sforzi: egli muore.
La parola autismo, scrive l’autrice, appare nel 1911 negli studi del psichiatra svizzero Eugen Bleuler e descriveva il distacco dalla realtà; a volte come una rinuncia volontaria, come se fosse associata alla solitudine più che all’isolamento.
Solo nel 1936 Jean Piaget definì l’autismo e il suo pensiero come subconscio dal momento che non c’era consapevolezza, l’individuo non si adattava alla realtà esterna, ma creava per sé un mondo di sogni.
Il romanzo Murphy di Beckett rappresenta sostanzialmente l’autismo, nel carattere e nelle parole del suo personaggio. Lo scrittore è stato incapace, nel componimento della storia, di formare legami affettivi con il mondo oggettivo. Infatti il protagonista ha tutte le caratteristiche della neurodiversità. Il silenzio che parla con il respiro, con gli sguardi; la mancanza di empatia; i comportamenti ripetitivi e le sue emozioni che rimandano a modelli matematici. Murphy, come è narrato nel romanzo, ogni giorno fa lo stesso tragitto a piedi, si ferma sempre nello stesso punto e risale per lo stesso luogo.
La mente di Murphy è come una grande sfera cava, ermeticamente chiusa all’universo esterno.
È un saggio che più sulla vita letteraria e artistica dell’autore si focalizza sul romanzo in esame, Murphy per l’appunto, che pone l’accento sull’aspetto caratteriale e relazionale dell’autismo.
Un lavoro, che può fungere da spunto per riflettere sulla neurodiversità, “come solo un neurodiverso è in grado di fare”.
L’autrice entra nell’analisi di questo classico della letteratura, sull’isolamento e la solitudine, sui conflitti tra i pensieri e la mente di Beckett autistico, come del resto altri autori: Borges, Pirandello, Hemingway, Philip K. Dick, Sartre.
Una nuova raffinata indagine medica, una nuova ricerca per Gabriella La Rovere che non smetterà mai di stupirmi per il suo amore profondo per chi non ha voce.
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