Savoia boia!
- Autore: Lorenzo Del Boca
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2018
Morì Tentenna, ancora incerto se tener l’occhio chiuso o aperto e fu trovato, forza dell’uso, con uno aperto e con l’altro chiuso.
Queste traballanti rime di Domenico Carbone contro Carlo Alberto costarono all’autore l’autoesilio dal Piemonte nel 1847. Non sarà costretto a tanto Lorenzo Del Boca, nonostante i suoi testi abbiano arrecato ben più danni del poeta-patriota alessandrino alla reputazione del sovrano e dei suoi discendenti. Non da oggi, il giornalista e saggista piemontese si è impegnato in una lettura severa della dinastia sabauda. È tornato a farlo - demolendola letteralmente - nel libro “Savoia boia! L’Italia come non ce l’hanno raccontata”, novità tra le edizioni Piemme (marzo 2018, Serie Saggi e Attualità, 360 pagine 18.50 euro). In questo libro sull’Italia unita e non del 1800, dal regno del principe di Carignano al crack della Banca Romana, Del Boca entra molto più in profondità dell’ironico rimatore risorgimentale nel privato della nostra ex Casa regnante.
Padre e figlio erano degli irriducibili dongiovanni, tanto Carlo Alberto che Vittorio Emanuele e, se vogliamo, anche il nipote, Umberto.
Se re Vittorio, coi suoi modi rozzi degni dell’aspetto fisico grossolano, si accontentava spesso di rotolare nella paglia insieme a robuste contadinotte, il papà dall’alto dei suoi due metri asciutti di statura nascondeva gusti eroticamente più evoluti e si sentiva in dovere di corteggiare qualunque dama gli rivolgesse lo sguardo, sia pure per un semplice ossequio. Doveva del resto ripagarsi dal freddo del talamo: in fatto di sesso, la moglie Maria Teresa di Lorena, presa in sposa appena sedicenne a Firenze (lui ne aveva solo 19), era impacciata, timorosa e infantile. Nei primi anni, piuttosto che accogliere il marito sotto le coltri, preferiva giocare a nascondino con le amiche, a Palazzo.
Non chiamavano a caso Tentenna il sovrano padre, dal momento che agli storici non risulta una sola decisione che il Carignano non abbia rinnegato. Molto più diretti i modi del figlio, primo re d’Italia. I suoi consiglieri e ministri erano certamente più efficienti e potevano concedergli di dedicarsi quasi a tempo pieno ai suoi sport preferiti: andare a caccia di sottane e selvaggina.
Nelle pagine di Del Boca prende consistenza il pettegolezzo malevolo del D’Azeglio: la famiglia reale avrebbe fatto ricorso al sotterfugio di sostituire il povero principino, perito in un incendio nella culla, con un neonato a portata di mano, figlio di un macellaio, un certo Tanaca. Lo sventurato incidente domestico è certo, la governante del piccolo rimase tanto ustionata da morirne. Com’era possibile che il piccino ne fosse uscito illeso?
Nei tratti fisici e comportamentali Vittorio Emanuele non aveva nulla dell’allampanato genitore e della graziosa madre. Quanto al carattere e ai gusti, tutto farebbe pensare al robusto figlio di un popolano, un beccaio, più che dell’ascetico Carlo Alberto, che la mattina indossava un cilicio per imporsi una dolorosa penitenza e la sera lo toglieva per frequentare l’alcova di qualche dama compiacente.
È tanto intrigante questa insistenza dell’autore sul gossip di casa reale, che l’abbiamo scelta per attrarre l’attenzione dei potenziali lettori su questo saggio, che ovviamente vanta tanti altri contenuti degni di approfondimento. A beneficio infatti di un pubblico più portato agli argomenti strettamente storici, va detto che ne troveranno in abbondanza, non c’è da dubitare.
Si parla di conquista imperialista dell’intero Paese e di spoliazione del Meridione. Non manca un suggestivo paragone con l’attuale fiscalità: anche nel neonato Regno d’Italia c’erano un’Iva e un’Imu. Non ne sono degne antenate la famigerata tassa sul macinato e quella sulla misura delle finestre?
Quando Garibaldi attaccò lo Stato Pontificio a Monterotondo, le armate sabaude erano pronte a intervenire “per difendere il papa”, proprio come avevano fatto nel 1860 coi Borboni, tanto “difesi” da finire sotto le cannonate nella fortezza di Gaeta, in cui si erano ritirati. Nel 1867 invece i papalini resistettero a Mentana e per entrare a Roma dalla breccia di Porta Pia i Savoia dovranno attendere la caduta dei Napoleone III a Sedan, nel 1870.
L’Italia era fatta, con 835 colpi di obice e un pugno di caduti, 45 - più che a Calatafimi comunque - restavano da fare gli italiani, cosa tutt’altro che facile, se nel 1848, nonostante gli entusiasmi patriottici della prima guerra d’indipendenza, il generale Durando notava che i lombardi si mostravano tetri al passaggio dei soldati piemontesi che avevano respinto gli austriaci occupanti. Non acclamavano i liberatori. E tra le truppe di Vienna, i combattimenti più accaniti contro i reparti italiani erano condotti da reggimenti modenesi, veneti e mantovani, come accadrà a Custoza e Lissa, dove la marina batteva bandiera austriaca, ma i comandi venivano gridati in triestino e in veneto.
Il Regno d’Italia è cresciuto sul modello del Piemonte e dei regnanti sabaudi: retrogrado, insensibile ai bisogni del popolo, ridicolo e imbelle sotto troppi aspetti, uno Stato da operetta.
Savoia boia! L'Italia unita come non ce l'hanno raccontata
Amazon.it: 8,50 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Savoia boia!
Lascia il tuo commento