Scuola di solitudine
- Autore: Crocifisso Dentello
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2024
È sempre difficile dire se uno scrittore vero quando fa dell’autobiografia la fa sul serio, oppure se c’è quella “naturale” finzione che permea la letteratura, che è infida e scivola da tutte le parti. In questo libro dal titolo Scuola di solitudine (La nave di Teseo, 2024), Crocifisso Dentello scrive della sua prima adolescenza, senza mai dimenticare che c’è stato uno scrittore prima della scomparsa della madre e ora un altro, per cui la madre è diventata “memoria”.
Questo romanzo breve ha come Narratore ultimo proprio la madre Melina, che entra a gamba tesa nei ricordi del figlio. Una madre che non accettava l’emarginazione del figlio, il suo sentirsi sempre “scomodo”, fuori posto. A suo agio solo nella propria camera, dove legge libri e guarda film. Il posto più brutto per lui è sempre stato la scuola. Nemmeno la madre riesce a fargliela amare, con le raccomandazioni di non essere troppo chiuso, orso, di diventare amico con qualcuno della classe.
La vita di Crocifisso Dentello non è stata facile, soprattutto in quel periodo, e non a caso in esergo pone una frase di Anna Maria Ortese:
I soli che possono amarmi, sono coloro che soffrono. Se uno davvero soffre sa che nei miei libri può trovarsi.
Il romanzo ha una premessa ambientata nell’oggi, ovvero la comparsa di un ragazzo del passato, Walter, che è stato nella classe di Dentello e ha continuato a conoscerlo grazie ai suoi libri. Proprio a lui lo scrittore si trova a fare una dedica sul precedente, Tuamore, il libro dedicato a Melina, che narra la sua sete di vita e la malattia, fino all’ultimo respiro. Che poi lo scrittore questo Walter lo abbia incontrato sul serio, con quelle esatte parole e dicendo che dava a lui una storia da raccontare, non ci importa molto. La storia da raccontare è ora pubblicata ed è ambientata agli inizi degli anni Novanta dello scorso millennio.
Il periodo è quello della prima adolescenza, dopo l’infanzia ma molto prima della maggiore età. La scuola è un fardello e già per chi scrive iniziano le differenze, perché a me sembrava una liberazione frequentare le scuole medie inferiori. Di quel periodo non ricordo molto, mentre lo scrittore sembra aver preso tutta una manciata di ricordi per costruire una storia di dolore e di inadeguatezza, tanto che la madre vorrebbe che vedesse uno psicologo, mentre il padre, muratore e pieno di stanchezza, è l’esatto contrario del figlio. Chiaramente il protagonista si trova in banco da solo, questo ragazzo corpulento e schivo, sempre con la paura che qualcuno gli si metta vicino per prenderlo in giro oppure per organizzare con altri compagni un brutto scherzo. E a casa non va meglio, nonostante l’amore disperato per la madre, deve subire le angherie di un padre troppo violento, che non ha problemi a picchiarlo, poiché è reo di non avere la passione per il calcio e poi a causa della lettura di molti libri che il padre vede come uno schiaffo alla sua cultura limitata. Si coglie del genio nel giovane che poi di fatto diventerà l’uomo coltissimo che è.
In classe c’era Sandro, che pur essendo di bell’aspetto e bravo a giocare a pallone era anche il secchione della classe e intorno aveva una piccola corte di altri studenti che gli ronzavano intorno come vassalli. Ma il mattatore di quella scuola brianzola era Marco Galbusera, che andava d’accordo più o meno con tutti, non particolarmente brillante in classe e nel calcio, era uno che non si tirava mai indietro se c’era da picchiare un altro compagno di classe, o di altre classi, sempre a brigare per un suo tornaconto personale, come il ragazzo a cui non puoi dire di no se ti chiede da mangiare o ruba di fumetti, un vero incubo.
C’è poi un ricordo delle scuole elementari, dove il bambino Crocifisso non parlava proprio e, se la maestra voleva sapere cosa aveva studiato, bisognava portare un banco fuori classe: doveva stare nel corridoio da solo con la maestra per dire qualcosa. Ma, tornando alle scuole medie, Galbusera si era un po’ calmato con il suo compagno, ma arrivò un nuovo ragazzo nella classe di nome Walter, che sembrava più nelle corde del protagonista. Anche Walter ha un padre che fa il muratore; ma, a differenza di Crocifisso, sembra che voglia diventare qualcuno nella classe. Ma ecco che arriva il motivo di questo breve romanzo “quasi autobiografico”, Melina, che lo scrittore aveva lasciato distante per quasi tutto il libro torna a fare da protagonista di quegli anni passati e dei giorni senza di lei.
A tal proposito Dentello scrive:
Melina è sempre stata il baricentro assoluto della mia vita...A distanza di tre anni la sua assenza non smette di tormentarmi. C’è sempre, nel corso delle mie giornate, un istante nel quale la tristezza mi assale come un’onda improvvisa.
In buona sostanza abbiamo parlato di un ragazzo con mille difficoltà, ma poi tutto si avvita nel ventre materno e il resto, i ricordi, scompaiono. Piuttosto, la domanda che non trovo oziosa è quando Crocifisso Dentello scriverà una storia in cui la voce della madre c’è, ma è molto lontana. E poi il lettore in realtà vuole ritrovare lo scrittore dei primi libri, che poi sono meno lontani di quanto si può pensare rispetto agli altri due, scritti dopo la scomparsa di Melina; chissà se lo scrittore stesso ha già una sua uscita di sicurezza privata, che non vuole dividere con noi lettori? Per ora c’è questa Scuola della solitudine, un libro importante, crudo e triste. Non è poco.
Scuola di solitudine
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