Sentimi
- Autore: Tea Franno
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Frassinelli
- Anno di pubblicazione: 2018
È notte fonda in un paesino della Sicilia, un fioco chiarore squarcia la fitta nebbia, incuneandosi in quel diluvio di bianco. Una sagoma avanza nella gelida bruma bianca, diafana, che tutto appiattisce, il respiro è lento, l’andatura incerta, sospesa in una dimensione onirica, in un inquietante equilibrio fra sogno e realtà. All’improvviso dalla candida parete il silenzio viene dischiuso dal lamento di un coro greco, che imprimendo energia cinetica alle onde sonore, sussurra: Sentimi! ed ancora, sempre con più impeto:
Sentimi!... Ora tu la scrivi quella che fu la vita nostra, perché si sappia che la vita ci scavò e ci tagliò e però non ci abbatté, perché femmine di ferro fummo, e di fuoco, e come ci fu dato di amare così ci fu dato di morire.
È un dramma collettivo il romanzo “Sentimi” di Tea Ranno edito dalla Frassinelli, si muove nell’alveo del romanzo psicologico, di profonda indagine introspettiva. La fabula narrativa è la rappresentazione realistica di vicende umane tragiche, focalizzata sui meccanismi mentali dei personaggi, sulle loro emozioni, sui loro stati d’animo, sui loro conflitti interiori, sull’osservazione minuziosa della vita. Il romanzo è caratterizzato dall’opera paziente dello scandaglio interiore, dall’indagine sulle ombre della psiche e sui guizzi dei desideri “malati”; è pregno di azioni, sguardi, gesti, allusioni, che “gettano” il lettore in uno stato confusionale, in:
una nebbiosa atmosfera da crepuscolo dell’amore.
Il romanzo fotografa impietosamente la vita sociale di un paesino di provincia, dipinge con i colori della miseria umana, ambiguità e violenza, una tela fosca, caravaggesca, dai forti contrasti, con la drammaticità dei toni scuri illuminati da brevi sprazzi di luce. Nella forma il romanzo si pone come una pluralità di suoni e parole, una polifonia di voci in dialogo, che parlando diventano coscienze narrative di un microcosmo, ma al contempo, come l’"Antologia di Spoon River" del poeta americano Edgar Lee Masters, indagano il macrocosmo della vita umana in una commovente enciclopedia di dolori, rimpianti ed emozioni. È un libro doloroso. Una preghiera per la violazione dei diritti umani e delle libertà individuali, che ha i toni del "J’accuse" di zoliana memoria, contro le debolezze umane del non voler vedere, al chiudere gli occhi sul male che è troppo vicino a noi, dentro di noi, a ”portata di mano”.
La scrittrice analizza la natura umana nelle sue sfaccettature più intime, più oscure; cattura repentinamente l’attenzione del lettore, lo inchioda dal primo capitolo, con la stessa violenza di un uomo su una donna. La scrittura è “potente”, piana, quasi chirurgica. Nulla è ridondante ed ampolloso, né c’è traccia alcuna di ostinata ricerca di ornamento.
Il lettore affronta il flusso imponente della narrazione trovando forza propulsiva nella ricchezza linguistica che attinge al dialetto e all’espressività del registro popolare. La lettura si perpetua con linearità, trasparenza, senza ricorrere a improbabili iperboli. Bastano poche righe e il lettore viene preso per mano e con una presa sicura, forte, viene invitato a sedersi sulla panchina della piazza del piccolo paese siciliano. Al primo approccio ci si trova dinanzi un’architettura umanamente composita, un labirinto di personaggi in antitesi con la linearità della trama.
Una prima lettura, richiede un’analisi strutturalista e/o formalista, per capire come in una forma elegante, mai aulica, ma con toni di matura raffinatezza estetica, la Ranno fa sì, che il valore funzionale del singolo personaggio sia determinato dall’interagire, intersecarsi, scontrarsi con gli altri. L’autrice chiarisce subito, fin dalle prime pagine, qual è il messaggio che vuole veicolare, il messaggio profondo, la “substantifique moëlle”, per usare le parole dello scrittore francese François Rabelais, nel romanzo satirico “Gargantua e Pantagruele”: la rivendicazione di pari diritti e dignità tra donne e uomini, la messa in discussione dell’autoritarismo patriarcale. "Sentimi" è una discesa agli inferi e come Odisseo, Enea e Dante, la scrittrice compie il suo viaggio ctonio che la porta tra le anime femminili di un paese siciliano. Così cento spiriti di donne si rivolgono all’autrice nella notte del 29 febbraio 2016. È la notte speciale di un anno bisestile, umida e senza luna in cui, per qualche strano motivo, tante ombre femminili sono rimaste incastrate tra la vita e la morte.
Si chiamano Pietra, Stella, Maria, Fioretta, donne buone e cattive, che sono state tradite, o hanno tradito; vittime di soprusi e vendette, “palombelle prese di mira dal cacciatore e uccise”, ma anche artefici di cattive azioni: usuraie, invidiose della vita altrui, suore dal cuore di pietra. Tutte hanno in comune la volontà di farsi ascoltare, con la speranza di restare vive nel ricordo grazie alla penna dell’autrice, in grado di “levare a qualcuna la macchia della calunnia e dare a qualcuna la pace della verità”.
Tra di esse ci sono quella di Pietra e di Rosa, due sorelle. La prima è sposata con Tano, mentre la seconda è la moglie di Rosario. Dall’amore clandestino tra Rosa e Tano nascono Emilio e Adele. Quando Rosario riconosce nei capelli rossi e negli occhi l’inequivocabile somiglianza tra Adele e Tano, assassina i due amanti e giura che cancellerà la vergogna uccidendo anche la bambina. Intorno a lei si coagula l’energia delle donne del paese, le voci che raccontano i loro sforzi per sottrarla alla furia di Rosario, perché levare la piccola Adele dai meccanismi malati di questo maschio brutale, ancestrale e irredimibile vorrebbe dire aver salvato tutte loro.
Questa storia, che come un invisibile fil rouge unisce tutte le altre, è un cameo letterario in cui la scrittrice riporta i temi a lei molto cari di “Amurusanza” e soprattutto di “Sorellanza”, cioè quello di “sintirisi soru”, intesa come rete protettiva da donna a donna.
Il romanzo è un mondo al femminile che si racconta, donne che “chiedono di uscire dall’oblio, che hanno bisogno di verità”, ma non è solo storie di femminicidi. Narra anche di donne “irrisolte”, che la morte ha colto in un momento in cui erano impreparate a morire, in cui la vita in loro pulsava intensamente e che affidano alla scrittrice le loro raccomandazioni, come la piccola Claretta caduta in un pozzo:
Sentimi, tu che tieni la penna in mano e ragioni scrivendo sopra la vita e la morte……Devi dire a mia madre che deve smettere di piangere….. Dille che le sono vicina. Che le cammino accanto come un’ombra, dille che voglio uscire da quella stanza buia, che voglio vedere gente, ridere insieme a lei….. Dille che se ride riderò pure io>>. Il ruolo della scrittrice è quindi, di ”farsi recipiente, vaso che accoglie, affinchè queste donne, finalmente purificate attraverso il processo catartico della narrazione, pacificandosi si liberano e possono sciogliersi da questo mondo”. E’ un libro in cui anche “la morte può essere “soru”, nell’accezione francescana ma anche laica, perché c’è una sorellanza nel congiungersi come anime nel trasmigrare, la morte può esser un ulteriore abbraccio di sorellanza.” Lo spettrale coro greco di anime intona una monotona litania, una preghiera, che rimbalzando fra i palazzi della piazzetta fuoriesce dalle pagine del romanzo e fa sobbalzare il lettore, …...lo coglie di sorpresa, per dirgli: “Sentimi anche tu!.
Un imperativo che va oltre l’intenzione di comando, ma al contrario è una richiesta di attenzione, un’invocazione all’ascolto, la condivisione dei sentimenti più profondi. Queste donne chiedono al lettore di sintonizzarsi con la loro anima, con il proprio sentire più intimo, con il loro dolore, di entrare in una relazione empatica che va oltre la razionalità, in un’affinità elettiva che investe anima e corpo, in un’intimità viscerale radicata nell’inconscio:
Sentimi! Sentimi con la pelle e con l’anima, entra dentro di me e brucia dello stesso fuoco che mi consuma.
Così afferma la stessa autrice. Nel registro linguistico la Ranno passa con “galateo letterario”, dall’io narrante ad una polifonia di voci, che spesso si sovrappongono, si scontrano, si urtano realizzando la colonna sonora di storie dal retrogusto amaro, ma che sono portatrici di un messaggio speranza, che il bene, nelle sue molteplici sfaccettature, vince sempre sul male, perché "Sentimi" è un libro che parla d’amore:
quello che ti cuoce piano, piano e ti fa fare, nella maggior parte dei casi , la cosa giusta.
Lo racconta così, tutto d’un fiato, il suo romanzo: Centu uci e ’n cuntu, già come i “cunti”, lentamente declamati, nelle afose notti siciliane, da nonnine eternamente ammantate in nero, da improvvisati aedi con la "coppola", nei cortili, nei vicoli, nelle piazzette, di una Sicilia che non c’è più, perché manca di poesia:
‘A puisia? E chi è a puisia? Cosa ca si mancia?.... ‘U cielu è chinu ’i puisia’…. ‘L’anciuli su’ puisia. U ventu è puisia. I manu to’ ca trafichiunu su’ puisia’, i cunti su puisia.
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