Sicilie del vino nell’800. I Woodhouse, gli Ingham-Whitaker, il duca d’Aumale e i duchi di Salaparuta
- Autore: Rosario Lentini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
La collana “Frammenti” della casa editrice Palermo University Press si arricchisce di un altro prezioso contributo dello storico Rosario Lentini, esperto di storia economica della Sicilia, autore di pregevoli pubblicazioni. Si tratta di una collana valevole per l’impegno e la qualità che mostra nei suoi contenuti che trattano per l’appunto frammenti di storia siciliana e in questo numero ci si sofferma sulla “invenzione del vino”, la vitivinicultura che viene portata avanti sino ai nostri giorni grazie ai personaggi che sono oggetto degli studi e delle ricerche condotte da Rosario Lentini.
In questo prezioso volume, Sicilie del vino nell’800. I Woodhouse, gli Ingham-Whitaker, il duca d’Aumale e i duchi di Salaparuta (Palermo University Press, 2019), si pone particolare attenzione sulla produzione vinicola siciliana e su chi ha inventato la viticultura moderna nel mezzogiorno. Questo in considerazione che fino alla metà del Settecento il vino era un prodotto di ampio consumo in tutta Europa, principale fonte di approvvigionamento calorico. Si calcola che ogni bracciante agricolo europeo bevesse in media circa quattro litri di vino al giorno.
Il passaggio del vino da bene di prima necessità in quanto fonte calorica indispensabile, a bene di consumo voluttuario, è legato alla modifica dei consumi siciliani ma anche europei del Settecento. Ormai l’Europa del XVIII secolo è un paese che si va industrializzando, nel pieno di una prima globalizzazione, fase in cui i grandi commerci internazionali permettono il consumo di prodotti extraeuropei in maniera abbastanza diffusa. Si realizza una trasformazione radicale dovuta al mutamento dei gusti e della domanda a livello continentale. Vi è una trasformazione, come ben chiarisce Rosario Lentini, sostanzialmente bicefala cioè con un apporto straniero e insieme un apporto autoctono e locale.
La viticultura nasce come trasformazione dell’agricoltura che nel corso del XVIII secolo, diviene un’attività capitalistica, più di quanto non lo fosse prima. Si produce per il mercato che richiede sempre prodotti differenti per cui occorre investire e vi è la necessità di capitale, per fare queste trasformazioni. L’agricoltura siciliana, come tante altre attività dell’Isola, difetta però proprio di capitali per una serie di motivi che Lentini ben chiarisce e che non è possibile in questa sede enumerare in toto e che esplicano i motivi dell’arretratezza. La necessità di capitali per la modernizzazione, trova risposta con l’apporto e l’intervento di alcuni imprenditori stranieri.
Le guerre anglofrancesi, che iniziano con la Rivoluzione Francese e terminano con Waterloo, fanno sì che il mercato mediterraneo diventi un punto strategico per gli Inglesi. Questi, come è noto, si approvvigionavano di vini liquorosi come il Madeira, il Porto, vini ad alta gradazione alcoolica più graditi dai palati nordici, alla ricerca di una tipologia che meglio si conserva. In Sicilia, il vino prodotto localmente, può essere trasformato per venire incontro a quelle che possono essere le esigenze del mercato che non è solo quello della Gran Bretagna ma comprende pure quello delle colonie e in genere dell’Atlantico, un commercio intermediato dagli Inglesi.
Sono alcuni imprenditori inglesi, i più famosi i Woodhouse e poi gli Ingham, i Whitaker che avvertono la possibilità di utilizzare proficuamente questa risorsa che ora vi è in Sicilia. Non vi è infatti più la Sicilia del grano, ma quella dello zolfo, del sommacco essendosi attuata una trasformazione radicale dell’agricoltura tradizionale del latifondo. Si comprende l’importanza di questo prodotto e si sfrutta il particolare momento storico che vede la flotta inglese dominare il Mediterraneo, con Malta sotto il controllo britannico. La Gran Bretagna utilizza e consuma poi gran parte della produzione vinicola per la sua flotta in navigazione per il mondo; la Royal Navy controlla in quel periodo tutti i mari, dal Pacifico all’Atlantico ed ha la necessità di acquisire ciò che serve per gli equipaggi che devono affrontare lunghi mesi di navigazione.
Da una parte vi sono i mercanti inglesi che si specializzano in questo prodotto, dall’altro lato è presente un’altra componente di operatori stranieri che sono quelli che vengono dalla Francia, con Enrico d’Orléans, duca d’Aumale (Parigi, 16 gennaio 1822 – Lo Zucco, 7 maggio 1897). Questi era figlio del re di Francia Luigi Filippo d’Orleans (1773-1850) e Maria Amalia di Borbone e viene in Sicilia per gestire tra l’altro una azienda agricola molto estesa. Si tratta dello" Zucco", che diviene una sorta di stazione sperimentale per la produzione vinicola dove innesta tutta la tecnologia francese di Bordeaux e in genere tutta l’enologia francese che già a partire dalla prima metà Settecento, aveva affinato grandemente e migliorato le produzioni vinicole rendendole di livello e competitive. È quella produzione che è arrivata fino ai nostri giorni e che aveva trovato sbocco in tutta Europa per la sua innegabile qualità.
Gli Inglesi si specializzano sui vini liquorosi, mentre i Francesi sui vini da tavola, da pasto, da degustazione e tra il XVII e il XVIII secolo, si assiste in Sicilia a una trasformazione radicale del sistema di vitivinicoltura, con l’abbandono dei sistemi tradizionali. Si produce non più per sé stessi ma per altri con i vinificatori che fissano i termini della qualità del prodotto vino.
Sia Ingham che Woodhouse fissano dei criteri da seguire, una organizzazione produttiva aziendale, non più il singolo contadino e così si rende internazionale il Marsala, vino liquoroso alla pari del Madeira, del Porto, del Malaga e dello Cherry.
In ultimo nel libro si traccia la storia del vino “Corvo” dei duchi di Salaparuta e non può non farsi menzione a questo proposito di Topazia Alliata, figlia del duca Enrico, l’ultima proprietaria Alliata della casa vinicola, la prima grande imprenditrice enologica, oltre che artista, pittrice e donna di straordinaria cultura. Pur tra mille ostacoli per farle chiudere l’attività, operò attivamente in un contesto quale la Casteldaccia degli anni Cinquanta dove non vi era certo un clima favorevole per una donna al timone di una azienda. Alla fine dovette anch’essa cedere, ma ha mantenuto e ha creato nuove etichette ed è riuscita a salvare il marchio del prodotto vinicolo dei duchi di Salaparuta, la cui qualità è riconosciuta e apprezzata ancora oggi.
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