Sole di periferia. Storie di bambini e di famiglie rom
- Autore: Silvio Mengotto
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Edizioni Paoline
- Anno di pubblicazione: 2014
Il “Sole di periferia” scalda la piccola Sara e le sue gambe che non si muovono
Stojka aveva solo undici anni nel gennaio 1945 e veniva da un altro lager quando arrivò a Bergen-Belsen, dove i nazisti l’avevano trasferita con la mamma. Sopravvisse anche nel nuovo inferno, fino all’ingresso nel campo dei soldati inglesi, increduli davanti ai prigionieri ridotti a larve umane. Prima, ad Auschwitz, ogni mattina, piccola com’era, aveva aiutato a sgomberare le baracche dai morti durante la notte. Giù dalle brande i corpi già rigidi delle compagne di blocco, sotto gli ordini urlati dalle kapò. Ma ce l’aveva fatta, aveva tenuto duro come quelle altre donne macilente che cercavano di mangiare di tutto: stoffa, cuoio, pelle, pettini d’osso, qualunque cosa di origine animale. Intorno a lei, tantissimi altri bambini partirono per un lungo viaggio indesiderato, con gli occhi aperti e vuoti.
Da anziana, Stojka è tornata a Bergen-Belsen, dov’è stata rinchiusa per quattro mesi con la sua infanzia. Ad ogni visita, ha sentito volare intorno a lei i bimbi morti, ma non le facevano paura, anzi, era come una festa. Cantano come gli uccelli, diceva, perchè le loro anime non sono andate via quando la violenza ha tolto loro la vita. Sono ancora lì e ai vivi tocca difenderle.
Tanti e tanti anni prima, racconta una storia che anche a Stojka piaceva ripetere, Ferko era stato condannato a morte da un giudice, su due piedi, senza pensarci troppo, perchè è così che doveva andare. Era un musicista bravissimo, il primo violino di Bardejov e perfino i signori più importanti chiesero di risparmiarlo. Ma il magistrato restava inflessibile: l’imputato non poteva che morire, come aveva sentenziato. Però non ci stava a fare la parte dello spietato mentre tutti erano clementi. Aveva pensato perciò di proporre al condannato un’ordalia, il giudizio affidato alla sorre. Messi due foglietti di carta in un cappello, chiese all’uomo di estrarne uno. Se bianco, sarebbe stato salvo, se segnato da una croce sarebbe stato giustiziato. Ferko, scelto uno dei pezzi di carta, l’aveva prontamente ingoiato. Come sapere se bianco o crociato? Basta guardare l’altro, rispose. Infatti, ovviamente quello rimasto nel berretto portava una croce: il giudicato restò in vita e il giudice rimase gabbato.
Una mattina, gli occhi di Stojka non hanno visto più la luce e da Vienna la sua anima è volata a Bergen-Belsen, a raggiungere gli amici che l’aspettavano sorvolando la spianata.
Anche Julia Lentini è sopravvissuta. Ricorda che prima del 1943 vivevano felici, godendo le estati miti, le notti calde sotto le stelle e la luce del sole di giorno. Poi è arrivato il buio delle deportazioni, dei letti di tavola a tre piani, delle conte interminabili all’aperto per l’appello dei prigionieri, delle sale per le docce da cui nessuno tornava.
Stojka, Ferko, Julia, non sono ebrei. Sono zingari. Nei lager portavano un triangolo marrone cucito sul “pigiama”. I nazisti ne hanno sterminati 500mila: è la loro Shoah, che chiamano Porrajmos. Ai rom (in lingua romanì significa uomo) è dedicato un libro di Silvio Mengotto, pubblicato dalle Edizioni Paoline, “Sole di periferia”, 122 pagine 11 euro, la storia di tanti di loro, a Milano, gli episodi di un’integrazione difficile per i pregiudizi dei gadje, i non rom, gli sforzi di chi li avvicina, parla con loro, non si limita a parlare di loro.
È anche la storia di Sara, otto anni, paraplegica. Le piace il tepore del sole, si diverte a vedere i bambini gadje che giocano sul prato e gridano correndo sull’erba. Viveva in una casupola umida e fredda sotto un cavalcavia. La baracca è stata smantellata da una ruspa, le loro cose ammonticchiate. Con altre famiglie rom ora è a Segrate.
Entrare in un mondo, conoscere. Capire per raccontare. Raccontare per cambiare: Silvio ha frequentato assiduamente le baraccopoli e questo si intreccia nel libro, scrive nella postfazione Flaviana Robbiati, maestra di scuola primaria, da trentacinque anni, in un quartiere periferico. Ecco il motore che muove questo testo, aggiunge: il desiderio di condividere ciò che si è vissuto del mondo rom, di accompagnare il lettore in un viaggio che altrimenti non farebbe. Così ascolta storie, legge nei pensieri, spera in un finale diverso per i rom prigionieri nei campi di sterminio, condivide il sorriso di una ragazzina che sembra non vedere la propria dolorosa situazione.
“Sono Sara, mi piacciono le bambole, le fiabe, la musica... e non cammino. Tu, come ti chiami?”.
Sole di periferia. Storie di bambini e di famiglie rom
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