Sono la foce e la sorgente
- Autore: Lorenzo Pittaluga
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2015
La casa editrice marchigiana Italic Pequod ha meritatamente pubblicato, Sono la foce e la sorgente, un’antologia poetica di Lorenzo Pittaluga, che comprende versi editi, inediti e postumi scritti da questo sfortunato e visionario poeta tra il 1984 e il 1995, anno in cui si uccise gettandosi dal decimo piano dell’Ospedale San Martino di Genova.
Nei dintorni della città ligure Lorenzo era nato nel 1967, segnato precocemente dalle stimmate di una sensibilità ulcerata, da una sostanziale incapacità di adattarsi al reale, dal desiderio ossessivo di confrontarsi con la parola scritta, sperando di trarre da essa un più sicuro ancoraggio alla vita.
Marco Ercolani, che gli è stato vicino come amico, psichiatra e mentore per oltre un decennio, e lo conosceva dall’adolescenza, ha scritto un’affettuosa prefazione al volume, in cui così lo descrive:
“Assorbiva parole da ogni stimolo esterno, da ogni sensazione, come se non avesse potuto far altro che questo: immergersi nella loro materia, nella sintassi in cui combinava, articolava, disarticolava il linguaggio. Come se, non essendo facile vivere, si potesse sostituire la vita con l’incantesimo di una parola ’liberata’ dai vincoli del significato”.
Il rapporto di Lorenzo con la parola era quindi totalizzante, febbrile, euforico: di essa si nutriva e in essa cercava di assemblare i confini del suo pensiero che riconosceva dolorante, piagato:
“Diverrò vocale tersa, sillaba / alabastrina, parola che giunge / all’inganno dell’amore”; “Io non resisto ai princìpi / senza vera sostanza, presento / un resto, un ritardo fra gli uomini”; “Più del pane risolve il nominare”; “Movimento dell’arto destro / che muove il lapis e presto / cancella il mondo manifesto”; “Sono / l’unico poeta uscito dalla / placenta della terra desolata”.
Addirittura usava toni divertiti, surreali e beffardi nel descrivere il farsi della sua poesia:
Ma “io la poesia me la parlo, me la porto a letto, ci faccio / la frittata, un pollo, una romanza, / un tè a due o un vino dolce solo per me, ma io la poesia / mica... mica la considero / più bassa della torre Eiffel, ma io il mio prestigio, il mio prestito, / questa poesia pantera questa poesia / balera. E basta”.
Troppo facile forse accostare al destino di Lorenzo e alla sua sofferenza psichica, quella di tanti poeti che come lui hanno scelto la morte volontaria (Georg Trakl, Sergej Esenin, Marina Cvetaeva, Paul Celan, Hart Crane, Sylvia Plath, Giuseppe Piccoli, Amelia Rosselli, Beppe Salvia, Remo Pagnanelli, Nadia Campana). Certo è che Lorenzo Pittaluga aveva consapevolezza della sua malattia, e secondo quanto ancora scrive Ercolani, viveva
“una doppia incandescenza: quella del suo dolore personale e quella della vocazione poetica”.
Leggiamo infatti alcuni versi che rivelano non solo lo spasimo convulso della sua mente, ma anche il tragico e ineluttabile presagio della sua morte:
“Le scritture, le mie, naturalmente / nate postume, celano la forma / del riposo, del denso incantamento //... Leggimi di notte come io scrivo, / fallo pietosamente, con indulgenza, / perché, lo sai, sono nato sfinito”; “Stai fra te / decidendo la tua sorte: / imprevista verrà a modo, / fortuito inganno / della rosa che medica”; “Ti incupisci di vedere / la foglia – senza amore - / accartocciarsi. / così è il tuo cuore / senza soffio”; “Eppure qualcosa, è certo, non deve giungere / a un fine”;” Su questa mia scrittura testamentaria / ti giungesse come un barbaglio / o un fuoco minimale e accorto. / Io transiterei verso una / seconda morte cercata, disvelata / nell’etere che assorbe spoglia”; “Ma io sono in un mondo / migliore, sono la foce / e la sorgente: sono Lorenzo”; “Ho un vuoto da comunicare //... Io bevo il gesto, frantumo / l’esile ordito della familiarità. / Sono asceta e sono angelo //... Mi rinchiudo poi, solo, nella stanza / buia e compio il tempo. / Il delirio, la sua virulenza di bestia / ctonia e fra i diversi amori un muro”.
Fino all’ultimo, toccante e profetico, scritto:
“Fuggo da un mondo distante / dal pubblico pagante, / dal mio corpo volante. / Fiaccola nella tenebra / celebra l’inchiostro”.
Alla tormentata ricerca formale, al deragliamento dell’io e all’identità franante di Lorenzo Pittaluga sono dedicati, nell’antologia “Sono la foce e la sorgente”, approfonditi interventi critici di diversi commentatori, e affettuose testimonianze personali, che ne ripercorrono la sofferta, disarmata nudità davanti a un vivere quotidiano banale, impoetico, che non seppe aiutarlo, e che lui decise di rifiutare.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sono la foce e la sorgente
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