Sono molte le cose umane
- Autore: Benedetta Cibrario
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2024
Sono molte le cose umane (Mondadori, 2024) è la raccolta di racconti della scrittrice fiorentina Benedetta Cibrario, che vive a Londra e ha esordito nel 2007 con il romanzo Rossovermiglio (Feltrinelli, premio Campiello 2008). Citiamo inoltre “Sotto cieli noncuranti” (Feltrinelli, premio Rapallo Carige 2010), “Lo Scurnuso” (Feltrinelli, 2011), “Il rumore del mondo” (Mondadori 2018) e “Per ogni parola perduta” (Mondadori 2022).
Con la sua scrittura elegante, nitida, precisa, Benedetta Cibrario ha abituato il lettore a percepire nella sua narrazione il rumore del mondo. Ciò avviene nei romanzi, sia che l’autrice tratteggi la figura di una donna del XIX Secolo dalla tempra moderna e anticipatrice, perché capace di trasformare la sua apparente sfortuna in una straordinaria opportunità di crescita, sia che ritragga la storia di due arditi giovani nella Francia della fine del XVIII Secolo. Lo stesso discorso vale per le otto novelle qui raccolte, a iniziare dallo splendido racconto “Lo Scurnuso”, figura del presepe napoletano, dalla grande umanità, perché sono molte le cose umane. Dalla Napoli borbonica fastosa e miserabile, passando per la Napoli sfigurata dai bombardamenti della II Guerra Mondiale, fino a oggi, per vicoli e palazzi, umide stamberghe e salotti sontuosi, si dipana il destino dello Scurnuso, "il Vergognoso".
“L’uomo che dormiva al parco”.
“Be’, che ti hanno mandato a casa perché non servivi più. E che probabilmente non servivi più a nessuno”.
Andrea Ferrari attraversò la strada e si diresse verso il giardino comunale. L’insonnia che lo aveva assalito non era saltuaria, occasionale, di quelle con cui è possibile scendere a patti dosando le gocce di un sonnifero o ingoiando qualche pasticca quasi invisibile, lo sapeva perfettamente. Si era convinto che la sua insonnia fosse una protesta collettiva del corpo, di ogni organo e di ogni ghiandola, che si diffondeva ai muscoli e alle palpebre, alle giunture e ai tendini, che disarticolava i pensieri e li sguinzagliava in ogni direzione, provocandogli uno stato di eccitazione nervosa. Aveva provato, nei giorni precedenti, diversi rimedi tra quelli alla portata della sua immaginazione: pasti leggeri, languide camminate senza meta, diluite nel tempo, lunghe immersioni serali in bagni così caldi da arrossargli la pelle. Risultati inutili, riguardo al sonno. Poi, all’improvviso, la scoperta, banale e sorprendente, se non riusciva a dormire in silenzio, al buio, circondato dagli oggetti che gli erano familiari, era evidente che Andrea dormiva benissimo in pubblico, alla luce, esposto al brusio e agli scossoni in un tram, in metropolitana, oppure nell’atrio della stazione, tra un annuncio e l’altro di un treno in partenza o in arrivo. Per ogni notte perduta di sonno, recuperava di giorno, lontano da casa. Dormire mentre attorno a lui la gente si affannava a viaggiare, nuotare, correre lo faceva sentire meschino e quasi in colpa, ma i suoni smorzati del mondo, affievoliti dalla coscienza vigile, che infine si arrende alla stanchezza, agivano come una cantilena rassicurante e piacevolmente soporifera.
Ecco l’avventura umana, troppo umana, di un uomo, che, rimasto senza lavoro, passava le giornate fuori casa, in un parco, seduto sulla panchina assolata accanto all’area dedicata ai bambini più piccoli, in attesa di fare ritorno nella casa in cui la famiglia, ignara, lo attendeva come sempre.
“Da lì, da quel bagliore solcato di striature arancio e oro, scivolava finalmente nel sonno”.
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