Storie di navi e naviganti
- Autore: Ernesto Pellegrini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Vicende, curiosità e stranezze marinare, nel volume “Storia di navi e naviganti. Fatti noti, ignoti e segreti della storia sui mari”, pubblicato nel 2017 da Oltre Edizioni (Torino, 122 pagine, 14 euro). Coi suoi argomenti di epoche diverse della marineria internazionale, sviluppati in brevi saggi monografici, è un libro piccino e di facile lettura, ultimo lavoro di un grande scrittore di mare, Ernesto Pellegrini, ricercatore instancabile, già assistente in gioventù di storia e politica navale alla Sapienza di Roma e a lungo collaboratore dell’Ufficio storico della Marina Militare. È scomparso a luglio, a 88 anni.
I capitoli sono dodici, ordinati in sequenza cronologica. Si parte dai commerci dei Pisani con l’Oriente, attraverso il Mar Rosso, per passare alla straordinaria cartografia planetaria dell’ammiraglio turco Piri Reis e dal 1500 del navigatore ottomano a fine 1700, ad Horatio Nelson. La modesta statura (1,67) e il fisico gracile contrastavano con la grandezza delle attitudini nautiche e la fermezza dell’uomo di comando. Cadetto a bordo a 12 anni, ufficiale a 19, comandante di una fregata a 26, a Trafalgar, guidò al meglio la flotta inglese, che riportò il successo nonostante l’inferiorità numerica, “perché c’era lui a guidarla”, sosteneva Pellegrini.
Ferito gravemente alla spalla, con la colonna vertebrale lesa, morì poco dopo essere stato informato della vittoria conseguita. E fu leggenda.
Alle sue pagine si collega l’episodio del cadavere dell’ammiraglio che atterrì re Ferdinando di Borbone. Il comandante della flotta borbonica, Francesco Caracciolo, si era schierato con la Repubblica giacobina a Napoli e aveva cercato di gestire le deboli forze navali che tentavano di contendere il Tirreno meridionale alle forti unità britanniche di Nelson. Londra aiutava il Regno di Napoli contro i repubblicani, a loro volta appoggiati da Napoleone, in conflitto con l’Inghilterra.
L’ammiraglio britannico, già in freddo con quello napoletano e irritato dalle perdite subite negli inutili scontri con la risibile marina giacobina, non fece nulla per evitare la forca a Caracciolo, negandogli la più onorevole fucilazione. Nella feroce repressione seguita alla caduta della Repubblica partenopea, una corte marziale borbonica, riunita a bordo di una nave inglese, emise la sentenza e la fece eseguire il 25 giugno 1799.
Il cadavere venne gettato in mare nel golfo di Napoli, riemerse e incrociò la rotta del vascello che riportava in città il superstizioso sovrano borbonico. Senza risparmiare gli scongiuri, Ferdinando accettò il consiglio del cappellano di autorizzare il recupero dei resti e la sepoltura in una chiesa.
Dai capitoli seguenti, si capisce ch’è stata una fortuna per la Regia Marina italiana l’aver combattuto dal 1915 nella Grande Guerra al fianco delle potenze dell’Intesa e contro le ex alleate Germania e Austria. Le forze navali tedesche erano del tutto assenti nel Mediterraneo e quelle austro-ungariche ristrette in Adriatico dallo sbarramento tra Otranto e l’Albania. Nei venti anni precedenti, tutte le stime avevano confermato invece la superiorità nei nostri confronti della flotta francese, che avrebbe pure avuto dalla sua anche la strapotente Home Fleet britannica.
Il lavoro di Pellegrini si sofferma inoltre sulla Marina imperiale germanica e sulle vicende belliche che la riguardarono nel 1914-18, in particolare la battaglia dello Jutland contro la flotta inglese, le operazioni dell’insidioso naviglio sommergibile e l’autoaffondamento a Scapa Flow delle unità preda bellica dopo l’armistizio dell’11 novembre 1918.
Detto dell’interessato contributo dell’industria pesante italiana alla ricostruzione della flotta sovietica nel Ventennio fascista, nonostante l’ostilità ideologica tra i due regimi, si valutano le ricadute in campo navale del conflitto italo-etiopico, coi problemi irresolubili per chi, come l’Italia, si vedeva interdetta dal controllo britannico del canale di Suez la rotta più breve per la madrepatria.
Tutte da leggere le pagine sulla mancata costruzione di navi portaerei da parte della Regia Marina. Certo, l’impegno finanziario sarebbero stato pesantissimo e non vi fu nelle varie fasi tra le due guerre mondiali una chiara presa di posizione che consentisse di superare l’empasse, riassunto nella considerazione che “una portaerei poteva essere utile ma non strettamente necessaria per il tipo di guerra navale nel Mediterraneo”. Il ripensamento troppo tardivo portò al mai completato allestimento di Nave Aquila.
Interessante il capitolo sull’azione dei nostri mezzi insidiosi subacquei (i “maiali”), nel porto nemico di Alessandria d’Egitto, la notte del 19 dicembre 1941. Due corazzate inglesi fuori combattimento, oltre ad una petroliera e un cacciatorpediniere danneggiati dall’esplosione delle tre cariche di tritolo, poste anteriormente ai siluri a lenta corsa (Slc) condotti ciascuno da due addestratissimi incursori.
Gran finale con lo sbarco dei marines americani nell’isoletta di Tarawa, che dopo il successo insperato nella battaglia aeronavale delle Midway invertì il corso della guerra nel Pacifico. Gli Usa avviarono la strategia del “salto della rana”, che avvicinerà progressivamente le forze alleate e i bombardieri americani alle grandi isole dell’arcipelago giapponese, a cominciare da Okinawa, strappata nel 1945 al Sol Levante al costo di perdite ingentissime.
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