Suonerà una scelta orchestra
- Autore: Franco Piccinelli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
La prima edizione è stata “pubblicata nel 1974”: incuriosisce l’avvertenza in basso nella pagina dietro il titolo del romanzo Suonerà una scelta orchestra di Franco Piccinelli, riproposto l’inverno scorso dall’Editrice Tipografia Baima&Ronchetti di Castellamonte-Torino (2023, collana “Biblioteca degli scrittori piemontesi”, 256 pagine).
Si potrebbe pensare a una narrazione datata, che risente dei cinquant’anni trascorsi - è apparso quando gran parte dei lettori potenziali di oggi non era ancora nata, mezzo secolo fa - ma non è così. Non si tratta di “una cosa vecchia”, perché resta attuale e originale la penna dell’autore, il giornalista e scrittore del Cuneese Franco Piccinelli (Neive 1933 - Alba 2014) e anche perché racconta vicende di un periodo per niente statico, di grandi trasformazioni, tra il secondo conflitto mondiale e i due decenni successivi, a ridosso del 1974 della prima pubblicazione.
Se i telespettatori meno giovani vedessero il volto del Franco Piccinelli quarantenne, riconoscerebbero il conduttore televisivo della rubrica “Oggi al Parlamento” tra il 1974 e il 1977 e soprattutto del seguitissimo “Il pomeriggio”, presentato su Rai 2 con Anna Benassi, Nicoletta Orsomando e Paolo Cavallina nel 1980-81.
Ha pure condotto a più riprese, dal 1982, il programma radiofonico “I giorni”, un classico della mattina di Radiodue. All’attività giornalistica, anche con responsabilità direttive, affiancava la scrittura: oltre quaranta titoli, tra saggistica, poesia e narrativa, ben ventotto, costantemente ispirata dalle sue Langhe, alle quali era legatissimo.
Figlio di un capostazione e di una maestra, ha redatto e diretto il quotidiano anconetano “La Voce Adriatica”, è stato cronista della “Gazzetta del Popolo” di Torino, per poi entrare in Rai, dirigente e capo della redazione torinese.
Nel 1979 divenne bersaglio delle Brigate Rosse, “gambizzato” dai Proletari Armati per il Comunismo.
Nelle pagine del suo romanzo, campeggia - è il caso di dire - l’Italia di una volta, un’Italia contadina di provincia, in un tempo non lontano da oggi, solo settant’anni, ma niente affatto vicino per costume e dinamiche. Si guardi come Michele, ch’è matto ma lucido nelle sue riflessioni, descrive l’ascesa sociale di un artigiano nel secondo dopoguerra, osservando dal treno un automobilista a bordo di una vecchia Millecento, in una strada parallela ai binari su cui viaggia il convoglio.
“Quello li”, pensa, alla fine della guerra doveva essere un poveretto come tanti, pieno di fastidi. Senza muoversi dalle sue parti, facendosi coraggio da solo, si è costruito il suo avvenire. Magari ha messo su una botteguccia da barbiere, appena una sedia girevole, lo specchio, il rasoio, la spazzola e tre macchinette a denti scorrevoli. A forza di barbe e di teste, ha comperato due rasoi nuovi, creme, colonie e ha messo da parte abbastanza per affittare un alloggetto tutto per sé, anche comprarsi la Vespa. Passati gli anni, l’ha venduta e si è preso la Topolino. Adesso ha la Millecento. Ancora un po’ e avrà una vettura lunga da qui a lì, senza ammazzarsi di lavoro e senza muoversi da casa. Non ha dovuto salutare gli amici, farsene dei nuovi. Al risveglio, guarda ogni mattina il panorama di quand’era ragazzo. Uscendo, incontra la stessa gente.
Quando diventerà vecchio e si guarderà indietro, non avrà di che soffrire, la sua sarà stata un’ascesa tranquilla ma continua.
“Invece a me vengono i sudori se penso al passato. Eravamo una bella famiglia, la terra ci manteneva, ma ci siamo messi a camminare al contrario”.
Michele Scagnello, quarant’anni e più, è il protagonista di questo titolo, che con Bella non piangere e Paura a mezzogiorno, ha composto una trilogia langarola tra il 1974 e il 1977. Sullo sfondo, il paesaggio collinare del Cuneese, i vigneti e boschi delle Langhe, che significa proprio colline.
La guerra porta un vento nuovo e tutto cambia da quelle parti. La vita scandita dalle stagioni nella campagna remota è spinta via dall’urbanizzazione degli anni Sessanta. Da contadini a cittadini. Il lento scandire delle generazioni, senza scosse nell’immota e quasi immutabile vita agreste, cede all’impersonale ciclo intermittente del rosso, giallo, verde dei semafori agli incroci. Michele è un “ragazzo della via Gluck langarolo”, ieri aveva d’intorno un mondo verde, ora strade, palazzi, pareti e nel volgere di pochi anni, appena un sospiro rispetto ai secoli precedenti di lento, lentissimo cambiamento. Maledetta città, è convinto che gli abbia fatto venire “il tarlo in testa”, a forza di starci non avendone voglia.
Il Casone è una grossa borgata, una trentina di alloggi, con portici e fienili.
Lo popolavano cento persone, ma saranno sì e no tre decine quando Michele torna dal manicomio - uno dei pochi ad uscire - scortato da mamma Teresa. Lei si ostina a chiamarlo “clinica”, ma la gente dice sottovoce che c’è poco da nascondere, mica i giornali non ne hanno parlato...
Poveri Teresa e papà Carlin, facevano affidamento su tre figli - la Rosemma ha pure sposato controvoglia quello sfascia fortune di Giovanni - ma due ragazzoni sono spariti in guerra nella steppa russa e il solo rimasto è “quel” Michele.
Sono tempi di rapidi stravolgimenti quelli raccontati da Piccinelli, attraverso lo sguardo fin troppo franco di Michele, uomo infantile ma torbido nella sua sincerità, sincero ma imperfetto nella sua identità.
Questo romanzo è come un film degli anni Cinquanta. Se comincia in bianconero, finisce in Technicolor, ma non sembrano tinte rasserenanti, è come se fossero opalizzate da una malinconia terricola. Tutto cambia davanti ai lettori e quello che era, resta solo ricordo, nostalgia, rammarico.
Suonerà una scelta orchestra
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