Te vojo ben
- Autore: Nadia Semeja
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2019
Nadia Semeja, scrittrice e poetessa triestina, è al suo terzo libro di poesia con la pregevole silloge dialettale Te vojo ben (Hammerle edizioni Trieste, 2019, p. 109), molto apprezzata dai cultori del genere. È stata letta anche nelle scuole e in altri incontri culturali, poiché rientrava nel programma della sesta edizione 2018 di “Libriamoci. Giornate di lettura nelle scuole”, una campagna nazionale promossa dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con molte altre associazioni.
Purtroppo in Italia la letteratura dialettale è sempre stata il parente povero della produzione letteraria in lingua, forse per il giudizio severo e negativo di Benedetto Croce sull’arte popolare. Abbiamo invece esempi di versi alti e luminosi scritti in dialetto, pensiamo a Biagio Marin e a Virgilio Giotti.
Il libro di Semeja vuole essere un omaggio alla lingua madre appresa tra le mura domestiche nell’infanzia, il dialetto triestino, e si avvale della traduzione a fronte a cura della stessa autrice. In copertina vediamo un faro, altro simbolo della triestinità, ma pure di forza e libertà, come si evince dai versi. Si tratta di un olio di Maria Saule, Omaggio a Trieste (collezione privata).
Il titolo esprime il sentimento ancestrale, il senso di un’appartenenza che non vuole mai chiudersi in se stessa, ma donarsi al mondo come voce poetica fresca, sorgente che zampilla, scaturita da un determinato humus specifico, eppure universale.
Eterni e comuni sono i temi trattati, spesso rimati, ricchi di continue metafore: l’amore e la morte, la solitudine e la malattia, la fatica e il coraggio di vivere, la vedovanza e l’orfanezza, le stagioni rispecchiate nell’anima, il tempo che cancella il passato e la memoria incancellabile anche di gesti, tradizioni e oggetti, come per esempio la tecia rossa, la pentola rossa, un umile oggetto ritrovato, depositario del senso di una vita.
Un giardino simbolico nascosto nella pietra esprime la volontà positiva e il sorriso che si cela anche dietro le lacrime:
"Mi son quela piera, / mi son quel scoio, / ma nissun sa ancora / che in mezo la piera / xe fiori che cresi / e drento quel scoio / xe una calda spiageta!"
("Io sono quella pietra, / io sono quello scoglio, / ma nessuno ancora sa / che in mezzo alla pietra / ci sono fiori che crescono / e dentro quello scoglio / c’è una calda spiaggetta!")
Il mare imprescindibile a Trieste, il volo dei gabbiani sono il veleggiare verso il futuro, l’eternità.
Se ne ricava una sensazione di bene, sebbene striato dal dolore. Nulla è regalato, tutto è conquistato:
"Me perdo in questo ciel / dimentico i problemi. / El cuor me trema un poco / a un vecio ritornel, / ma la vita xe che premi / e rubarghe vojo un toco!" ("Mi perdo in questo cielo / dimentico i problemi. / Il cuore mi trema un po’ / a un vecchio ritornello / ma la vita sta incalzando / e voglio rubarle un pezzetto!")
Un altro tema essenziale di questi versi orecchiabili facili/difficili è quello dell’autenticità, dello svelamento e conoscenza di sé, oltre le maschere e le convenienze sociali.
La passione e il rosso costituiscono la temperatura predominante, con gradazioni e sfumature, a cui spesso fa da contraltare la notte, in un gioco vitale di alternanze:
"I colori rossi e zali / scricolando par che i mori, / quel che go lassado o perso / ziga forte: “No xe giusto!”" ("I colori rossi e gialli / scricchiolando sembra che muoiano, / quello che ho lasciato o perso / grida forte: “Non è giusto!”")
Il dialetto "dice" in uno stile pieno di spasimo ciò che non potrebbe essere detto in altro modo, come anche Pasolini ha sentito di scrivere in friulano la sua aderenza alla terra, alle radici, nel rispetto profondo di ogni radicamento.
Te vojo ben
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