The Poetry of Marco Scalabrino
- Autore: Marco Scalabrino
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2018
Marco Scalabrino, nativo di Trapani, è conosciuto come saggista e traduttore in lingua siciliana e italiana di testi poetici stranieri. Possedendone i meccanismi in ogni aspetto, sa utilizzarla, facendo interagire apporti di molteplici vernacoli dell’Isola. Se un costrutto o un vocabolo di altra area lo convince, l’accoglie andando oltre il ristretto provincialismo.
Egli ricerca, sceglie e accarezza parole, locuzioni e figure retoriche rigorosamente in armonia con le strutture fonico-semantiche dei suoi amati autori. Adesso, dopo quasi un decennio, si ripresenta da poeta.
Degno di nota è il suo libro “The Poetry of Marco Scalabrino” (Prodotto da Carolyn Mary Kleefeld e Patricia Holt e pubblicato in co-edizione Gaetano Cipolla per LEGAS e Stanley H. Barkan per Cross-Cultural Communications, New York 2018), in cui sono le sue poesie in lingua siciliana ad essere tradotte in inglese e in italiano. Leggendole, si ricava l’immagine di chi, nella propria bottega, scolpisce e rende essenziali le parole, prosciugandole dal superfluo e arricchendole di pensiero. Le lavora con estrema perizia, le traduce in metafore sanguigne estranee a orpelli esteriori e, a guisa di speleologo, le esplora e resta incantato dei mondi che esse racchiudono.
Se le parole non consolano, mostrano però nuovi universi e galassie. Tolgono terreno alla dissoluzione e tramandano arcaiche saggezze. Poiché fanno da nutrimento come la capra Amantea, egli le definisce “minni amurusi di matri” (“seni amorosi di madre”). Veicolano sonorità come “ciarameddi” (“cornamuse”) e conducono lungo viottoli illuminati di libertà (“trazzeri addumati di libirtà”), cioè di immaginazione creativa. “Tozzi di paci” (“tozzi di pace”) e “virità” (“verità”) sono dette le parole che sanno comunicare quella condizione di tranquillità che trascende i conflitti. Sta qui la natura della sua poesia, i cui versi fanno riflettere sui paradossi, sugli enigmi e sul mistero dell’esistenza.
Scalabrino ha dimistichezza con le parole; si fa condurre per mano dalle sue stesse creature, le implora e ne percepisce il velo che non sempre le manifesta, collocate come sono fra epifania e nascondimento. I suoi sono sintagmi sciolti fra oscurità e luce di conoscenza. Esprimendo emozioni e vissuti, hanno la forza di dare voce all’anima e rappresentano vuoti e malinconie nel conflitto tra il bene e il male. La fonte del coinvolgimento e la meta verso cui tendere è data dalla parola “Libertà” che, ancorché aliena nella società dell’alienazione, invita a guardare il mondo con gli occhi del riscatto e del sogno.
Appare sentenzioso e visionario il percorso poetico di Scalabrino, accompagnato a volte dal fremito ecologico e soprattutto dal desiderio di superamento del limite. Del narcisismo e del soggettivismo, in particolare: polarità negative che sottraggono alla qualità eminentemente umana dell’ascolto. Sicché, l’interiorità si traduce nel più profondo di se stesso senza che il poeta, le cui radici etniche sono tenaci per la fedeltà di fondo al linguaggio popolare, si estranei al richiamo all’Altro malgrado la voce risulti monologante. Risuona così in modo perentorio il suo dire che si fonde e si armonizza con i disincanti: “
Mi spirciava di canciari rigistru / di ncapizzari crocchiuli di luci / di sulcari cu vòmmari d’olivu / la storia firniciusa di sta terra” (Sognavo di cambiare il mondo / d’ammantare di luce l’esistenza / di solcare con vomeri di ulivo / la storia tormentata di questa terra”).
Scalabrino è smaliziato e disincantato. Il sarcasmo impietoso e l’ironia graffiante sono presenti nei suoi versi brevi, spezzati, che si abbandonano a una ventata di impulsi intrisi di di rivolta e di invettiva rispetto all’impostura e alla cattiveria. Ecco allora il martellamento delle sue parole di visiva espressività: rosicchiano il cuore con accuse rese virili dall’uso di iterazioni, di antitesi, di anafore e di modi a volte interlocutori. Configurano drammi come nella bella poesia “Battaria” (“Frastuono”), dove l’immagine dominante è quella dell’universo che sprofonda e si sgretola nelle viscere della terra. E perciò, in questa suggestiva visione apocalittica mossa dal timore che tutto finisca o dettata dal senso di rinascita, che è tempo di operare recuperi. È tempo quindi di porre anche stilisticamente il problema dell’uomo nel mondo che in queste poesie ha sofferta solitudine.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: The Poetry of Marco Scalabrino
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