

Tigre di carta
- Autore: Olivier Rolin
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2014
Gli ideali sbiadiscono, come le bandiere e gli slogan sui muri che li hanno sorretti. Anche le rivoluzioni svaporano, al sole della storia, muoiono all’alba, fanno la fine che fanno i sogni. Un bilancio di scheletri e macerie, ecco in ultimo cosa resta. Che fine hanno fatto, per esempio, i piccoli pezzi in cui è imploso il Maggio francese alla luce dei fatti che lo hanno tradito (smentito no, smentito mai)? E certo è anche vero che è passato tanto di quel tempo. Come ricorda l’io-narrante del fondamentale “Tigre di carta” (Olivier Rolin, Edizioni Clichy, 2014), allora
“internet non esisteva, e nemmeno i computer. Né le tangenziali né il TGV né i cellulari né la tv via cavo né gli walkman e nemmeno le segreterie telefoniche, ti rendi conto? I padiglioni di Baltard aprivano i loro ombrelli sopra il ventre di Parigi, la tv era in bianco e nero, c’era solo un canale o forse due, non ricordo più”.
Olivier Rolin non fa parte però della schiera dei reduci tristi, illivoriti, piegati dalla disillusione, il suo sguardo sugli eventi è ancora lucido, fedele, pur se filtrato dalla distanza che fanno le lune trascorse, i vivi e i morti, comprese le icone della guerriglia rossa - Guevara, Ho Chi Min, Rosa Luxemburg, “Tania” Bunke - tra slanci, bilanci, ascese ardite e risalite. Ripensando alla sollevazione mancata d’un soffio, a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Senza indulgenza, ripensamenti, malinconie, a bocce ferme, senza nemmeno nessuno sconto.
Il protagonista di “Tigre di carta” – riconoscibile nell’alter-ego dell’autore, ex "sessantottardo" - ne riferisce a Marie (figlia di un ex compagno di lotta) che di “quel” Maggio ha soltanto sentito dire: prima bene, avvolto da una specie di aurea leggendaria, quindi malissimo, in una corsa collettiva alla demitizzazione per partito preso. Sfondo di questo notiziario minimo dal fronte, la notte e il boulevard périphérique che incastra Parigi: un luogo simbolo, il crocevia delle storie che vi si sono intrecciate, il posto ideale per riannodare i fili di un discorso interrotto, riandare con lo stesso coraggio con cui allora si andava per strada, alla ricerca di un senso, spiegare forse una triplice morte: quella del padre del narratore - ucciso per errore in Indocina -, quella del genitore della ragazza, e quella (soprattutto) del miraggio della rivoluzione proletaria. Parafrasando Dylan, le risposte, una volta di più, sono nel vento.
Pubblicato in Francia nel 2002 (vincitore del Prix France-Culture), “Tigre di carta” arriva adesso in Italia nella traduzione di Tommaso Gurrieri, preceduto dalla fama del romanzo più compiuto che sia mai stato scritto sul Sessantotto. Lo stile è personalissimo, nitido, raffinato, il peso specifico si avverte a ogni pagina: reputazione più che meritata.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Tigre di carta
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