Tracce della guerra alpina
- Autore: Giuseppe Magrin, Mauro Novello
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Bepi Magrin e Mauro Novello, due appassionati conoscitori e divulgatori di montagna, di storia militare e della Grande Guerra, uno già ufficiale degli Alpini, l’altro laureato in architettura. Insieme firmano “Tracce della guerra alpina tra i ghiacci dell’Ortles e dell’Adamello”, un volume di testi e immagini, pubblicato dalla casa editrice il Prato, di Saonara-Padova (160 pagine, 25 euro) in prima edizione nel marzo 2017, nel centenario della prima guerra mondiale e già ristampato a dicembre dello stesso anno. Realizzato con il contributo di tantissime aziende e riconosciuto ufficialmente dalla sezione di Brescia dell’Associazione Nazionale Alpini (ANA), il libro è legato ad un progetto benefico. Il ricavato della vendita è destinato alla onlus bresciana Scuola di Nikolajewka, nata nel 1978 come cooperativa sociale e specializzata nell’assistenza a persone con disabilità motoria.
Il libro, di insolito e “largo” formato (22x24 cm), ha sia l’aspetto che il contenuto di un album fotografico. Se le prime 50 pagine sono riservate alla descrizione di combattimenti e luoghi della guerra sui ghiacciai, tra il 1915 e il 1918 – alle quote elevate della cortina delle Alpi che divide l’Italia dall’Austria – ben 125 grandi fotografie a colori, perfettamente riprodotte, descrivono reperti bellici, residui di baraccamenti, ruderi di postazioni belliche, frammenti di armi e oggetti metallici arrugginiti e altre tracce della guerra alpina: resti pietosi di ossa umane, anche il cadavere mummificato di un caduto austriaco, ritrovato con le spoglie di altri due commilitoni sul monte Giumella. E il lavoro di Magrin-Novello rende conto delle problematiche poste dal recupero in alta quota e da un’adeguata conservazione.
Giustamente, il presidente nazionale dell’ANA, Sebastiano Favero, fa notare che la guerra sui ghiacci è stata guerra alpina per eccellenza. Metteva alla prova le qualità delle truppe di montagna, in un ambiente ostile all’uomo, che minaccia la sopravvivenza stessa dell’alpinista. Figurarsi dover combattere anche l’avversario e tenere o prendere posizioni “verticali”.
Onore, perciò, ai nostri alpini e ai loro avversari, truppe d’élite da una parte e dall’altra, soldati ben addestrati, combattenti d’acciaio.
Gli autori spiegano d’aver voluto proporre, nella ricorrenza dei cento anni dallo scoppio della Grande Guerra, accanto a una descrizione sintetica delle località e degli avvenimenti, le testimonianze fotografiche fedeli di ritrovamenti recenti. Hanno quindi un significato in questo lavoro tanto la geografia che la storia e la documentazione per immagini, perché le trasformazioni del terreno glaciale e d’alta montagna, accelerate dai mutamenti climatici in atto:
cancelleranno presto anche le ultime tracce di quella tragica guerra, per restituire alla natura dei monti l’antica verginale integrità.
Due terzi del volume sono perciò un catalogo fotografico sul materiale bellico emerso dal ritiro dei ghiacci nei gruppi dell’Ortles e dell’Adamello, dove si svolse la “guerra bianca”.
Di certo, i contendenti, che necessariamente non erano numerosissimi come sul Carso, dovevano affrontare l’ostilità della natura ancora prima di misurarsi con l’ostinazione degli avversari (le valanghe fecero più vittime di acciaio e pallottole). E questo, ripetiamo, valeva da una parte e dall’altra delle linee, tracciate in verticale, non in piano.
Nella parte “narrativa” spiccano in questa guerra parallela le vicende a loro volta parallele di due ufficiali, accomunati dal ruolo di comando, dall’abitudine di appuntare di getto impressioni in un diario e, purtroppo, dalla morte in giovane età, oltre al fatto che i loro corpi siano ancora custoditi dalla montagna, mai ritrovati.
Nel giugno 1917, il Comando italiano dispose un attacco alla Vedretta di Lares e al Corno di Cavento (sui 3300 metri ed oltre) per neutralizzare posizioni che disturbavano quelle grigioverdi. Dopo un pesante bombardamento con cannoni da 75 mm ed anche da 149 mm (portati in quota con grande impegno), quattro compagnie di sciatori investirono il nemico, che pur battendosi dovette retrocedere sul monte Folletto, dove cadde il tenente Felix Hecht von Eleda, un viennese di 23 anni, comandante di una compagnia del 1° reggimento Kaiserjagher tirolesi.
Gli austriaci non se la tennero. Il 3 settembre 1918, sempre preceduti da un’intensa preparazione di artiglieria, 200 schuetzen fecero irruzione sulla vetta del San Matteo (a 3768 metri), conquistata ad agosto dagli italiani. Trovarono la morte alcuni alpini e il loro comandante da poco ventiquattrenne, Arnaldo Berni, il più giovane capitano dell’esercito. Le sue spoglie, a lungo cercate da compagni d’arme e familiari, non sono mai state ritrovate. L’azione del San Matteo, ricordata nella letteratura come “la più alta battaglia della storia” fa ormai parte dell’epica alpina se non della leggenda.
Il diario di von Eleda, ritrovato dopo l’assalto da un ufficiale italiano, il tenente Fabrizio Battanta, "il diavolo del Cavento", è un documento straordinario della difficile vita di guerra in alta quota. È conservato presso il Museo della Guerra Bianca Adamellina di Spiazzo Rendena.
Tracce della guerra alpina tra i ghiacci dell’Ortles e dell’Adamello
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