Traiano. Il sogno immortale di Roma
- Autore: Gianluca D’Aquino
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2018
Primeggiare era nel suo destino. Si fosse impegnato contro gli avversari in una corsa, Marco Ulpio Traiano avrebbe tagliato il traguardo avanti a tutti. Primo imperatore non italico, primo imperatore figlio adottivo, primo a spingere i confini dell’impero ad Oriente. Lo scrittore alessandrino Gianluca D’Aquino è stregato dalla figura e dai primati del princeps romanus (53-117 d.C.), tanto da dedicargli il più recente dei suoi romanzi, “Traiano. Il sogno immortale di Roma”, un bel volume nella grafica accurata delle edizioni emiliane Epika (Valsamoggia, Bologna, maggio 2018, 444 pagine 17.50 euro).
Fattura di ottimo conio quella del giovane, ma collaudato autore di romanzi, sceneggiature e racconti, affascinato da uno dei “Cesari” più amati a Roma e che dopo questa biografia narrativa risalterà ancora di più come uno dei giganti della storia imperiale. D’Aquino ci consente di apprezzare la grandezza dell’imperatore. Ha studiato a fondo il cursus honorum militare e imperiale del condottiero e riformatore e l’ha ricostruito nella forma del romanzo storico. È l’equivalente della narrazione per immagini che da duemila anni si può ammirare sulla splendida colonna che domina il Foro Traiano, ai piedi del colle Quirinale, sulla sinistra di via dei Fori Imperiali, presso piazza Venezia.
Un’alta spirale di bassorilievi, gira attorno al fusto marmoreo e celebra due imprese del conquistatore, in Dacia. La colonna traiana è sormontata da una statua di San Pietro, opera dello scultore Domenico Fontana alla fine del 1500, una contaminazione con la Roma cristiana, fortemente voluta da papa Sisto V.
Nelle prime mosse del racconto dello scrittore piemontese è curioso osservare l’immotivato timore di un Marco Ulpio ragazzino nei confronti dei Parti. Popolazione bellicosa, certo, ma qualcuno deve avere alimentato nella mente ingenua del giovanissimo la suggestione di guerrieri mediorientali alti tre metri e guidati da un sovrano invincibile.
La testimonianza del padre, comandante di una legione, non può che deluderlo. Il generale Ulpio afferma di aver visto coi suoi occhi Vologase e tanto il re gli era apparso un uomo comune quanto i suoi uomini gli erano sembrati non più alti dei suoi legionari. Il valore delle armi di Roma e il sangue dei suoi combattenti avevano pacificato quella provincia e sarà proprio sotto la guida del figlio, cresciuto senza più paure, che le aquile romane raggiungeranno il mare Eritreo, addirittura il Golfo Persico, come mai prima (e dopo).
Sempre primo. Sono passati diciannove secoli dalle imprese di Marco Ulpio Traiano, “optimus princeps”, “delizia delle genti”, amato dai soldati, dal popolo, dal Senato, da tutti. Non era avido di potere e di gloria, aveva capacità e misura, oltre alle doti che gli avevano consentito di percorrere l’intera carriera militare, fino a governatore (della turbolenta Germania), quanto quella politica: senatore, princeps, imperatore.
Pur avendo ottenuto la massima carica nel consenso generale, quando soggiornava a Roma amava incontrare artigiani e plebei. Entrava senza scorta in casa di famiglie semplici. Nella sua, riceveva chiunque facesse richiesta.
Di abitudini normali, data la lunga consuetudine di campagne militari, aveva semmai il vizio di bere oltre misura. Una sola donna nella sua vita, la moglie Pompea Plotina, dalla quale non ebbe eredi. Si intratteneva con cinaedi, giovani omosessuali, secondo un costume diffuso nella sua epoca.
Come detto, primeggiava in tutto. Non italico, proveniva dalla Baetica, quindi era un ispanico meridionale e nemmeno “un figlio di”, non discendeva da famiglia regnante. L’imperatore Nerva, privo di eredi, lo aveva adottato, riconoscendo le sue qualità non comuni. Per primo ha ingrandito l’esercito, portandolo a trenta legioni e con quello strumento perfetto ha domato popolazioni ribelli e spinto i confini ad Oriente, sull’esempio di Alessandro Magno.
Non aveva precedenti nemmeno il titolo di iupiter optimus maximus, che in tutta modestia accettò solo perchè riferito alle qualità morali, degne di Giove, in nome del quale accettò la solenne gratificazione. Per primo, ottenne dal Senato che alla sua morte le ceneri venissero conservate nel perimetro sacro della città, in un’urna all’interno della colonna Traiana, con quelle di Plotina.
A sua volta, non avendo discendenti, adottò un condottiero promettente, Adriano, a sua volta ricordato come uno dei “buoni imperatori”: sostenne le riforme sociali, difese i confini conquistati, non tradì il rafforzamento dell’esercito. Continuò a rispettare la tolleranza politica e sociale, a valorizzare la filosofia e le arti. Resse saldamente l’impero e non scalfì in alcun modo l’eccellente impianto del grande predecessore, consolidando anzi i possedimenti romani in Britannia.
Tutto quello che Adriano ha continuato, Traiano ha evidentemente creato: una Roma caput mundi, capitale del mondo. Un impero e un imperatore da romanzo.
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