Trainspotting
- Autore: Irvine Welsh
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
Prima di leggere Trainspotting toglietevi dalla testa, almeno temporaneamente, qualsiasi forma di moralità, bigottismo, perbenismo, senso del pudore e politically correct. Trainspotting in lingua inglese vuol dire “osservare i treni” ed è un po’ quello che, sostanzialmente, fanno i protagonisti di questo romanzo: guardano la vita che passa veloce davanti ai loro occhi, immobili, guardano le vite degli altri, senza prendere la propria e darle una giusta direzione.
Di libri e film sulla droga ne sono pieni gli scaffali delle librerie e sono quasi tutti, giustamente, instillati di retorica e moralità su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato quando si tratta di dissertare su un argomento simile, ma libri che trattano della droga (e dei suoi immancabili contorni) come lo fa Trainspotting non ce ne sono. Innanzitutto l’autore stesso, Irvine Welsh, è un ex tossico e se la fantasia può sopperire alla mancanza di esperienza, in questo caso soltanto chi ha realmente provato l’ebbrezza di stupefacenti e ha vissuto nei quartieri difficili delle case popolari può meglio descrivere la vita degli “Skagboys” di Leith, il borgo scozzese in cui è ambientato il libro, precisamente negli anni ottanta. In secondo luogo, Welsh non infarcisce il suo romanzo d’esordio di alcun giudizio negativo o positivo sulle vite sbandate di Rents, Spud, Franco e Sick Boy, ragazzi sulla trentina caduti nel baratro della tossicodipendenza che vivono le loro giornate solo in funzione della “roba”. Un barlume di coscienza anima però solo uno di loro: Rents, aka Mark Renton, ragazzo modestamente colto e forse il più “normale” del microcosmo Welsh, che tra uno “schizzo” e l’altro cerca di portare avanti il suo progetto di disintossicazione fai da te con risultati nulli, a dimostrazione di come uscire dal vicolo cieco della droga sia qualcosa fuori portata se non si ha nient’altro per cui voler continuare a vivere. A tal proposito emblematico è il dialogo tra Mark e l’amico Tommy su cosa abbia spinto Mark a diventare un tossico:
“La vita è una rottura di palle, non ti da mai un cazzo. Partiamo tutti pieni di belle speranze, che poi ci restano in canna. Insomma, campiamo tropo poco, la vita è una delusione; e poi moriamo. Ce la riempiamo di merda, la vita: la carriera, i rapporti e roba del genere, per illuderci che magari non è tutto inutile. L’eroina è una droga onesta, perché toglie di mezzo tutte le illusioni. Con l’ero, se stai bene ti senti immortale.”
Ciò che più stupisce, o meglio dovrebbe allarmare, è l’assoluta attualità (ed universalità) della storia di Welsh. Se i suoi personaggi degli anni ottanta rifiutavano una vita fatta di lavoro servile, vincolo matrimoniale e responsabilità famigliari per cercare una fetta di libertà e diversità dalla scialba classe impiegatizia, anche molti ragazzi dell’età moderna sognano una vita diversa, senza le costrizioni della disoccupazione, dell’ansia di fare carriera, senza preoccuparsi di vedere i loro sogni trasformarsi in illusioni. Trainspotting sprizza vita da tutti i pori perché è crudamente realistico, mette a nudo le brutture, le perversioni, i dolori dei ragazzi che soffocati dalla prospettiva di una vita preconfezionata preferiscono la “non-vita”. Tuttavia nella storia di Rents e compagni si possono trovare tante risposte alle domande che in genere si vorrebbero fare a chi decide di fare uso di stupefacenti, la prima fra tutti: “Perché?”. E la risposta non è poi così scontata: la ricerca di uno sballo diverso non giustifica sempre l’uso di droghe, anche perché i ragazzi di Welsh non sono dei principini viziati desiderosi di trasgredire le regole, ma ragazzi senza guida e senza meta che, appunto, preferiscono guardare il treno della vita anziché salirci sopra.
Trainspotting: dal libro al film
Dal libro, nel 1996 è stato tratto l’omonimo film, diretto da Danny Boyle e con l’attore Ewan McGregor tra i protagonisti.
Trainspotting
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