Trieste
- Autore: Dasa Drndic
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2015
La Storia è la protagonista di questo “romanzo documentario” come recita il sottotitolo del volume, quel “fantasma della realtà” che implacabile continua a lacerare, tagliare, frammentare, rubare “brandelli di universo per ricucirli nel proprio manto sepolcrale”. Quella di Haya Tedeschi è una storia piccola, una delle tante, infinite, che compongono il mosaico mondiale, che ha il potere di penetrare nella coscienza del lettore. Haya sono sessantadue anni che aspetta, tanti quanti sono gli anni di vita di suo figlio Antonio, “Lui verrà, io verrò”.
Seduta accanto all’alta finestra nella stanza al terzo piano di un palazzo austroungarico in un vecchio quartiere della Vecchia Gorizia, Haya si dondola sulla sedia e il suo silenzio è insopportabile, gravido di ricordi che escono da quella grande cesta rossa che si trova ai suoi piedi e che le arriva alle ginocchia. In quel lunedì 3 luglio 2006, dalla cesta la donna estrae la propria vita e “la appende sul filo immaginario della realtà”. Vengono fuori lettere, qualcuna vecchia più di cento anni, fotografie, cartoline, ritagli di giornale, riviste, che testimoniano il fatto che Haya, nata a Gorizia il 9 febbraio 1923, sta riordinando la propria esistenza. Incarna i propri avi, il nonno materno Bruno Baar, la nonna Marisa, e la madre Ada nati sudditi della monarchia asburgica, la città di Gorizia “cosmo miniaturizzato ai piedi delle Alpi”, la propria fede, la famiglia di origine ebraica si è convertita al cattolicesimo.
“Non puoi sfuggire al tuo nome”.
Frugando tra questo ammasso di “carta morta” e riordinandola, ora sul pavimento, ora sotto il tavolino sotto la finestra, Haya ripensa ai suoi genitori, al padre Florian Tedeschi, cognome tipicamente ebraico, proveniente da una ricca famiglia ebrea, completamente assimilata, a differenza della madre Ada, appartenente invece a una famiglia ebrea povera e niente affatto assimilata. Haya ripercorre il passato e non si stanca di aspettare suo figlio che aveva avuto da un bell’ufficiale tedesco, Kurt Franz, il cui viso d’angelo nascondeva un’anima nera, perché il giovane nazista era il comandante del campo di concentramento di Treblinka. A sei mesi di vita Antonio era stato rapito, perché destinato a diventare uno dei tanti bambini del Programma Lebensborn (Sorgente di vita) voluto dalla mente perversa del gerarca Himmler, allo scopo di selezionare una perfetta e purissima razza ariana. Haya era ignara di tutto ciò come lo era stato suo figlio, allevato e cresciuto a Salisburgo da una coppia di nazisti con il nome di Hans Traube. Solo in punto di morte la madre adottiva aveva raccontato la verità.
“Oh, Hans, Hans, un tempo ti chiamavi Antonio”.
Daša Drndić, nata in Croazia a Zagabria nel 1946, ricompone circa cent’anni di barbarie europee osservandole da quell’angolo orientale del nostro Paese la cui testimonianza più crudele è la Risiera di San Sabba. Qui in un ex stabilimento per la pilatura del riso situato alla periferia di Trieste venne installato un lager nazista utilizzato per il transito, la detenzione e l’eliminazione di detenuti in gran parte prigionieri politici ed ebrei.
La scrittrice slava, già autrice di saggi, romanzi, testi teatrali e radiofonici, con la tragedia personale di Haya Tedeschi racconta il dramma di milioni di persone, che persero la vita in nome di una fanatica teoria di supremazia. Filologa e studiosa del femminismo, la scrittrice per questo libro ha condotto ricerche negli archivi storici di diversi Paesi in varie lingue per due anni e in questa grandiosa narrativa documentaristica ha incorporato molte voci e le parole di eminenti autori. Quanto mai emblematico l’esergo di questo straordinario romanzo tratto da una frase di Jorge Luis Borges che dà il senso all’intera narrazione:
“È sufficiente un unico istante per aprire il segreto della vita, ma la chiave di tutti i segreti è soltanto la Storia, quelll’eterno ripetersi e quello splendido nome che ha l’orrore”.
Se è vero che “ogni nome nasconde una storia”, impossibile non domandarsi quali storie si celino dietro i nomi dei circa 9000 ebrei deportati dall’Italia, oppure uccisi in Italia e nei Paesi che l’Italia ha occupato tre il 1943 e il 1945, elencati in 45 pagine nel testo. Per questo appare fondamentale conoscere la vicenda di Haya Tedeschi che “dondolandosi sui fili del passato”, si consuma nella continua attesa di suo figlio. Minuscolo e insignificante ingranaggio di quella Storia “menzognera e traditrice” che dice “i conti non saldati vengono presentati”.
Trieste
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