Tutto Truffaut
- Autore: Jean Collet e Oreste De Fornari
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2020
Credo che la fortuna dei film di François Truffaut si spieghi con la leggerezza dei toni: l’imprinting formale della nouvelle vague ha saputo poi fare il resto. In altre parole: se Truffaut risiede (a pieno titolo) nell’olimpo dei registi di ogni tempo, non è per la densità delle trame, ma, al contrario per la loro medialità, incentrate come sono sui temi universali delle donne e l’amore. Lo specifico truffautiano è una reiterata sinfonia sentimentale. Cito solo qualche titolo, tra i più famosi: Jules e Jim, Baci rubati, La mia droga si chiama Julie, Adele H. Una storia d’amore, La signora della porta accanto, e così via. Come scrive Henri-Pierre Rochè nel diario da cui Truffaut trasse ispirazione per L’uomo che amava le donne, il “regista è un seduttore compulsivo non appena cala la sera”.
Una specie di innamorato perenne, in modo particolare delle attrici che accompagna al successo. Truffaut non fa nulla per smentire la casistica. Tutt’altro: con l’eccezione di Isabelle Adjani, indimenticabile protagonista di Adele H., il suo ultimo amore è Fanny Ardant (La signora della porta accanto, Finalmente domenica) dalla quale ebbe una figlia. Se l’amato Hitchcock era notoriamente misogino (rappresentava la scena d’amore come una violenza, e viceversa; non sopportava attrici come Monroe o Bardot, secondo le parole di Truffaut “per Hitchcock avevano il sesso stampato sulla faccia”), il regista francese è invece sedotto dalle donne, persino se complicate, o implacabili come la Jeanne Moreau della Sposa in nero, vendicatrice del promesso sposo, ucciso il giorno delle nozze. Donne in altro modo fatali, anche nel ciclo semi-autobiografico di Antoine Doinel, cominciato con i Quattrocento colpi (1959), proseguito con l’episodio Antoine e Colette (1962), Baci rubati (1968), Non drammatizziamo… è solo questione di corna (1970) e finito con L’amore fugge (1978).
Il tessuto connettivo, più ancora che il filo rosso, della filmografia di Truffaut è insomma l’amore (e il tanto o poco di salvifico o controverso che ci sta nel mezzo), declinato negli anni e nei film in espressioni le più disparate. Il Tutto Truffaut che Gremese ha da poco consegnato alle stampe non smentisce la mia impressione, e dire che è un volume muscolare (nel senso della mole) che poco o niente ha di biografico e tanto invece di analitico. Il suo punto di vista è bifocale, sommativa di due diversi saggi su Truffaut, usciti a metà degli anni Ottanta, per la firma di due critici e agit prot cinematografici, al secolo Jean Collet e Oreste De Fornari. Alle disamine minuziose sui film si aggiungono in questa edizione tanto i giudizi critici della stampa internazionale quanto (e soprattutto) le parole dello stesso regista, estratte dalle interviste rilasciate nel tempo.
A proposito di Effetto notte — assunta a pellicola meta-cinematografica per eccellenza — afferma, per esempio:
“Ho realizzato Effetto notte come un documentario e c’è pochissima differenza tra le riprese che mostro e quelle dei miei film […]. Non ho cercato di distruggere la mitologia del cinema, al contrario, essendo il cinema francese troppo poco mitico, ho voluto che questo film avesse l’impronta di Hollywood […]. C’è la nostalgia dei film che non temono di raccontare una storia, che non hanno paura del tono melodrammatico e accettano di affrontare il giudizio”.
Il volume è di grande formato e, come si diceva, dettagliato e poderoso. Ne accrescono ulteriormente il valore l’articolo inedito di un Truffaut giovanile (Lascia o raddoppia? L’importanza della messinscena) e un bellissimo inserto fotografico curato da Enrico Giacovelli con centinaia di fotogrammi tratti dalle pellicole del regista.
Tutto Truffaut
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