Una casa
- Autore: Antonella Moscati
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Nottetempo
- Anno di pubblicazione: 2015
Un libro di ricordi, pagine che si aprono sulle immagini di un tempo che fu, su persone care e mai dimenticate, memorie indelebili legate alla casa di famiglia, grande, calda, accogliente come una madre, e ai sapori e agli odori di una terra nativa. Una casa è un libro che ho letto tutto d’un fiato, e in me, che sono figlia di queste terre, ha evocato ricordi della mia infanzia e adolescenza, così come è stato per l’autrice.
Antonella Moscati è una scrittrice e filosofa napoletana che vive tra Siena e Parigi. Studiosa di Hannah Arendt, traduttrice e curatrice delle opere di Deleuze, di Jean-Luc Nancy e di Foucault, ha esordito come narratrice in Francia e ha pubblicato in Italia con Nottetempo Una quasi eternità e Deliri. La grande casa in campagna a Faiano, a sud di Salerno, ha custodito le sue memorie familiari, un ricordo autobiografico familiare che si intreccia con i costumi di una terra e la storia che cambiava: dai bisnonni ai nonni, dalle prozie Elvira e Clotilde alla zia Renata, dall’occupazione nazista allo sbarco degli alleati, dagli anni dell’infanzia fino alla tarda adolescenza.
“La casa consolidava in noi la certezza della continuità. Era una vera e propria dimora di famiglia, in cui le generazioni si erano avvicendate e avrebbero continuato ad avvicendarsi.“
Erano gli anni sessanta, Antonella insieme alla sua famiglia lasciava Napoli, alla fine della scuola e si recava a Faiano, nella dimora delle vacanze ornata di merli e torre, immersa nel verde, e nei colori delle terre intorno coltivate dai braccianti, per i quali il nonno era il signore, eccellenza, a volte commendatore e con i cui figli nei caldi pomeriggi si giocava a nascondino. Le lunghe estati in campagna trascorrevano tra messi, raccolti e lavori nell’aia.
“Nell’aia ho imparato a conoscere l’infinito. Quello che ho conosciuto nell’aia era un infinito domestico, un assoluto per ragazzi di buona famiglia appena usciti dall’infanzia, al riparo da quella felicità sicuramente più potente, ma sempre sul crinale della sofferenza e del pericolo, che avrei conosciuto qualche anno dopo, quando Faiano aveva smesso di esistere.“
Il piccolo castello del nonno suscitava fascino e curiosità. Le camere da letto avevano almeno due porte, una che conduceva in una stanza attigua e l’altra che si apriva su un corridoio. Era tipico della case di allora avere spazio comunicante per la famiglia e spazi che dovevano rimanere estranei. Alcune erano stanze luminose, altre buie, alcune con le porte aperte e altre con le porte sempre chiuse. Prendevano il nome dal colore dell’arredo, come il salotto verde dal velluto delle poltroncine, la stanza rossa per le mattonelle esagonali del pavimento. La camera gialla era la stanza da letto della piccola Antonella dalle cui finestre ammirava, negli anni, la magnificenza del grande platano.
“Il luccicante movimento delle sue foglie riusciva a far passare ombre mobili attraverso le pesanti imposte di legno che non erano mai completamente chiuse. Così nei primi giorni della nostra villeggiatura, quando l’abitudine mi portava ancora ad aprire gli occhi nell’incertezza del dove, quello scintillio gioioso mi faceva capire di essere arrivata a destinazione… appena sveglia lasciavo la stanza per correre in cucina a immergermi nel brulichio di presenze e voci che tutte insieme partecipavano alle difficili decisioni che andavano prese ogni mattina. La scelta del pranzo, la lista della spesa… tutto questo davanti a una colazione da consumare sul grande tavolo di marmo, caffè, caffelatte con le freselle di grano, pane e frittata, pane e olio e pomodori.“
Ma la grande curiosità risultava essere il granile, una stanza enorme che si affacciava sul giardino e che conteneva ogni bendidio: conserve di pomodori, sacchi di fagioli e patate, cassette di pesche, mele, uva e fichi, distese di nocciole nelle quali rotolarsi, ceste e damigiane.
La grande casa vegliava sugli anni che passavano, da un’infanzia di giochi senza bambole, ai primi amori estivi, dalla tavola imbandita sotto la pergola di glicine, alla musica dei primi juke-box sulle rotonde dei bagni di Mercatello, il litorale di Salerno fino agli intensi studi, dopo la laurea, per la preparazione ai concorsi. Una storia che doveva essere narrata, perché per la scrittrice napoletana quegli anni sono rimasti radicati e vivi dentro di sé. Una delle sue prime fotografie appena nata, scrive, era stata fatta proprio lì, scattata nel giardino davanti casa, sotto una palma secolare che ancora vive. Come se la sua vita avesse avuto inizio da lì. Un luogo caro per i ricordi di un’esistenza scandita dal rumore dei battitori dopo la raccolta delle noci, o dei salti dagli alberi di arance o della seicento di zia Renata.
Un regno magico nel quale la grande casa era come una stella polare che avrebbe continuato a guidare non gli obiettivi consapevoli della mia vita, ma i gesti nascosti e le arcane certezze di qualcosa che non saprei se chiamare il mio corpo o la mia anima.
Lo stile dell’autrice è avvincente e poetico e la narrazione coinvolgente ed evocativa. Una trama suggestiva dalle ricostruzioni ambientali alle descrizioni dei vari personaggi protagonisti, insieme alla famiglia, di una spaccato di vita che appartiene alla nostra storia.
Una casa
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