Uomini sul fondo
- Autore: Charles Warren, James Benson
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Un solo sommergibile inglese, due vite e due morti, nel 1939 e nel 1943. Una serie incredibile di circostanze sfavorevoli scatenate contro il Thetis, nella prima immersione e poi contro il Thunderbolt, com’era stato ribattezzato dopo il pensoso recupero, affondato da una corvetta italiana al largo di Trapani. Destini avversi per quella che divenne una doppia bara d’acciaio, per 162 uomini complessivamente. Le due vicende sono state dettagliatamente ricostruite qualche decina di anni fa, in un testo tornato in diffusione su iniziativa della casa editrice bolognese Meridiano Zero, un marchio della Odoya. Il titolo resta “Uomini sul fondo” (luglio 2017, 288 pagine, 15 euro), autori Warren e Benson.
Charles Esme Thornton Warren è stato sommergibilista e operatore di mezzi d’assalto subacquei nella seconda guerra mondiale. James Benson è il giornalista che ha collaborato alla stesura di un testo che rappresenta un classico della storiografia marinara del ‘900.
Thetis e Thunderbolt sono dunque un sommergibile solo, che ha avuto due occasioni e le ha perse entrambe.
L’HMS Thetis era un grande battello subacqueo della Marina britannica, 84 metri di lunghezza, 1575 tonnellate di dislocamento in assetto sommerso, inabissatosi il 1 giugno 1939 cinque ore appena dopo aver lasciato il porto di Birkenhead, nella baia di Liverpool, per la prima immersione in mare, dopo quella di collaudo in bacino. Dei 103 uomini a bordo, 99 quelli intrappolati e periti. Erano nel battello ben 53 componenti in più dell’equipaggio standard. Si trattava di operai e tecnici dei cantieri in cui era stato allestito il sommergibile, che fece anche una vittima in più, il palombaro Perdue, che per una patologia non rilevata cedette allo stress delle frenetiche operazioni di salvataggio.
Tutto congiurò contro il Thetis. Già sembrava impossibile che andasse giù per un banalissimo strato di bitume che ostruiva il foro di verifica dell’allagamento di uno dei tubi lanciasiluri, ma che poi si riuscisse a salvare solo 4 marinai sconvolse le coscienze di tutti. Si era in vista della costa, erano accorse tante imbarcazioni impegnate nel salvataggio e parte della sezione poppiera affiorava in superficie, perché il tagliamare e la prua si erano piantati sul fondo in diagonale.
Ma era destino che quel mezzo dovesse subire una condanna beffarda. Malasorte, si disse.
Dopo quattro mesi, il Thetis venne trainato in secca. Compiuta la pietosa opera di recupero delle salme e completato un accurato lavoro di riallestimento, riprese il mare col nome Thunderbolt, nella Marina di Sua Maestà britannica e partecipò alla seconda guerra mondiale. In Mediterraneo colse successi e segnò affondamenti all’attivo, fin quando incappò nel mestiere nautico e nell’ostinazione di un ufficiale italiano, il capitano di corvetta Augusto Migliorini, al comando dell’unità antisom Cicogna, che dopo una lunghissima, paziente caccia, lo mandò a picco nel marzo 1943, al largo di San Vito Lo Capo, in Sicilia.
Ancora una volta la poppa fu l’ultima sezione del sommergibile ad emergere, prima che le ultime cariche di profondità della corvetta italiana mandassero a fondo per sempre l’ex Thetis, con i suoi 62 uomini di equipaggio.
Gran parte del libro descrive minuto per minuto l’agonia dei superstiti, intrappolati nella baia di Liverpool, impegnati a sopravvivere e certi di farlo grazie allo sforzo di tanti che si stavano attivando in superficie. Ma tutto era andato e continuò ad andare contro di loro. Il natante rispondeva male alla procedura d’immersione, fu poi fatale che il cappello del lanciasiluri prodiero n. 5 risultasse inspiegabilmente aperto. Quindi il tubo era allagato e rappresentava una pericolosa via d’acqua. Ma di questo non fu possibile rendersi conto, perché il piccolo occhiello dal quale avrebbero dovuto scendere gocce sospette era ostruito da uno strato di vernice bituminosa. Sicchè, al controllo tutto sembrò stagno, ma quando i siluristi aprirono il lanciasiluri convinti che fosse vuoto, il mare irruppe nel compartimento di prua.
Altri contrattempi incisero fatalmente. Uno dei più banali impedì la chiusura della porta stagna e l’acqua invase anche il successivo. Con due compartimenti allagati il Thetis si appruò, sul fondale di appena 60 metri e con un rimorchiatore d’appoggio in superficie.
Ben sei metri di poppa sporgevano dall’acqua. Tutti erano convinti che niente avrebbe ostacolato il recupero degli uomini intrappolati nel natante inclinato. Ma la serie di eventi sfortunati non si esaurì, al contrario dell’aria all’interno.
Solo in quattro riuscirono a scapolare dalla garitta di salvataggio poppiera. Qualcuno perse la vita tentando di uscire col respiratore, la garitta finì fuori uso, un portello che doveva aprirsi restò serrato, uno che doveva restare chiuso venne aperto. Si creò una nuova via d’acqua nel battello. Il peso lo fece scendere inesorabilmente verso il fondo, i cavi che tenevano fuori la poppa si spezzarono, i palombari che stavano lavorando dovettero cambiare tecnica d’approccio.
Il tempo passava inesorabilmente. Insieme all’ossigeno si consumarono anche le vite di 99 uomini. Ventiquattro ore di grande affanno e di pena ben raccontate. Anche ai lettori sembra di perdere il fiato.
Uomini sul fondo
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