Uru
- Autore: Fabio Carbone
- Genere: Horror e Gotico
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
A Guagnano, a nord di Lecce, Fabio Carbone lo chiama Uru, ma nel Salento meridionale è conosciuto come scazzamurieddu il folletto, gnomo, nano burlone, benefico o malefico, della tradizione popolare contadina.
Di quella creatura fantastica Carbone ha scelto la denominazione locale che gli è più nota, come titolo del romanzo d’esordio nella sua esperienza narrativa in prima persona, il nuovissimo Uru, in libreria dal 20 gennaio per i tipi Fernandel Editore (2023, 120 pagine), che si ispira in chiave horror alla leggenda dello spiritello insolente comune a tante culture regionali in Europa.
Nel Mezzogiorno d’Italia ha molti nomi, a cominciare dal più convenzionale, il napoletanissimo “munaciello”, familiare ai lettori anche grazie al film È stata la mano di Dio. Tanti nomi, ma un’identità comune di rompiscatole, guastafeste, di indisponente provocatore. In genere la mitopoietica popolare si divide tra il considerarlo un mattacchione brutto ma benigno o un maligno, malfatto persecutore, responsabile di scherzi malvagi.
Anche nel Salento, paese che vai folletto importuno che trovi: lo chiamano qua scazzamurieddhu, là munacieddu, carcarulu, laùru da cui Uru.
Brutto, nasuto, irsuto, mezzo metro al massimo di pura voglia di infastidire la famiglia presso la quale decide di stabilirsi. Molesta, intralcia, gioca tiri mancini, nasconde oggetti. O anche peggio.
Una favola popolare pugliese racconta di un uomo irritato perché il nanetto strafottente di casa prendeva di mira la bella moglie. Oltre a mille molestie, di notte le si piantava sullo stomaco, togliendole il respiro. I coniugi traslocarono, certi di dimenticare l’indiscreto. Arrivati nella nuova casa, si accorsero di avere dimenticato la scopa. Stavano discutendo su chi dovesse andare a riprenderla, quando si fece sentire una vocettina nasale: “La scopa sta qua, l’ho portata io”. Di uno scazzamureddu non ci si libera facilmente.
Il letterato salentino dell’Ottocento Sigismondo Castromediano descrisse il carcaluru come un folletto tra il bizzarro e l’impertinente, l’irritabile e lo spiritoso, benevolo con chi gli si dimostra gentile, perfido con chi non lo rispetta, che s’impegna a tormentare all’infinito, soprattutto al calare del buio. Non lascia in pace nemmeno sul letto.
Alla peggiore specie di disturbatori maligni appartiene l’Uru narrato da Fabio Carbone. Si direbbe orrendo, ma molto meno del paesaggio rurale del sud della Puglia descritto da Carbone, purtroppo reale. Si concede appena qualche esagerazione, a fini narrativi.
Le stradine campestri, che il protagonista Paolo percorre nella sua corsa lenta e affannata, sono invase da sterpaglie, rese ancora più oscene dall’immondizia di ogni genere che le invade, abbandonata senza ritegno dagli abitanti: piastrelle scheggiate, sanitari rotti, montagnole di inerti edili, materassi, coperte, copertoni, bottiglie di vetro e di plastica, cartoni, carta, scarpe bucate, poltrone sfondate, sedie bruciate. Qualche frigorifero dismesso e vecchi televisori fuori uso. Nei campi attorno, al posto delle piante di ulivo avvelenate dalla xylella, distese mostruose di enormi pannelli fotovoltaici.
Varietà non autoctona della zona, impiantata col favore dei profeti della green economy da coloro che, a conti fatti avevano ritenuto più conveniente seminare cristalli di silicio che spaccarsi la schiena a zappare la terra.
Paolo lavora in un call center, cerca di vendere contratti per un gestore alternativo di energia. Truffa i clienti, soprattutto anziani, con i soliti trucchi sulle “bollette meno costose”. Si sente in colpa, ma non può fare a meno di pensare che chi dice la verità non fa contratti e se non li fai non ti pagano e ti mandano via. È un lavoro in cui è impossibile essere onesti. “Qui ognuno vale quante il prodotto che vende”.
Di notte Paolo è tormentato da qualcosa che lo terrorizza, rende il sonno un incubo interminabile, toglie il respiro. Avverte fame d’aria anche di giorno, per il mancato riposo, come di notte a soffocarlo è quella presenza che si muove nella stanza, picchietta il pavimento con unghie animalesche, gli attorciglia i capelli, lo rende un bimbo spaventato, rannicchiato in posizione fetale. Una notte, per pochi attimi gli sembra di distinguere una bestia accovacciata sul petto, rivolta verso di lui, ma può assumere varie forme, anche di quelli e quelle che incontra nella sua vita.
È agghiacciante, non più però del mondo che circonda il ragazzo.
Un territorio devastato dall’abusivismo, dalla noncuranza, dalla negligenza, un ambiente intossicato dall’uomo e dai suoi abusi. Una comunità amorale, i contratti da spacciare raggirando gli sprovveduti, la collega che ha una crisi di nervi per il rimorso e le offese ricevute al telefono, l’azienda che vuole delocalizzare in Romania e licenziare metà del personale italiano. Qualcosa di grave succede all’improvviso alla responsabile del call center. È l’inizio del peggio.
Riguardo al romanzo, si ricordi che nell’antichità, anche in Magna Grecia si attribuiva ai sacrifici sanguinari una funzione catartica, poi tutto migliora...
Fabio Carbone è nato nel 1986 in provincia di Lecce, dove vive a Guagnano. Laureato in giornalismo, è analista di contenuti radiotelevisivi.
Tra il 2016 e il 2020 ha diretto la casa editrice Ofelia, da lui fondata, curando la pubblicazione di testi di narrativa di autori italiani, esordienti e non.
Uru, come detto, è il suo primo romanzo.
Uru (Fernandel)
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