Venezia d’acqua dolce
- Autore: Cristina Lattaro
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2013
Venezia d’acqua dolce (Loquendo, 2013) della prolifica scrittrice Cristina Lattaro è un romanzo che lascia sorprendentemente a bocca aperta per tutta una serie di motivazioni che la penna abile e matura della scrittrice riesce a dislocare lungo tutta la lunghezza del testo, dall’inizio alla fine.
Rieti è la città in cui la storia si sviluppa mentre una banda di malavitosi sono gli iniziali protagonisti di una trama che lentamente assume tinte sempre più fosche ed oscure. Un negozio di fiori appartenuto a Sara Panni, una medium scomparsa in circostanze assai misteriose, diventa il punto centrale di una serie di eventi che coinvolgono una vasta cerchia di personaggi, ognuno a loro modo influenzato e legato all’incantesimo della giovane donna sparita nel nulla.
Lo stile dell’autrice è inizialmente fluido e scorrevole. Con poche pennellate distribuite ad arte, ella riesce a farci inquadrare perfettamente i personaggi, attribuendo ad ognuno di essi un soprannome ed inserendoli, così facendo, nel migliore dei modi, nel telone fittizio che copre un palcoscenico ancora semicoperto. Così, ancora inconsapevoli di ciò che ci attende, conosciamo Tonio Pennino, detto il pesce, e poi il meccanico, il professore e il papalino, tutti uomini di Rosario Pavento, che sotto il suo comando, prendono possesso e rimettono in sesto quel negozio di fiori che servirà come copertura per l’arrivo di un carico d’armi. Arrivati a questo punto, ci si chiede cosa ci sia di così speciale in questa storia che oltre ad essere scritta molto bene e a farci entrare sapientemente nell’intreccio rocambolesco in cui si muovono i protagonisti, non sembra alludere a nessun risvolto particolare. Eppure così non è e il lettore se ne accorgerà presto quando cominceranno ad apparire una miriade di altri protagonisti di questa strana storia che abbandonerà le tinte esclusivamente poliziesche per tingersi di nero e di paura. La banda di Pavento è tenuta sotto sorveglianza da un gruppo di poliziotti milanesi, di cui fanno parte l’ispettore Elisa Monumenti e il novello agente Carlo Pascoli, che si finge suo marito per avvalorare la copertura della donna e della sua indagine su Pavento.
Venezia d’acqua dolce è un soft horror ma questo non basta a definirlo. Non basta neanche dire che è un giallo con risvolti paranormali, bisogna leggerlo per capire la bravura di Cristina Lattaro nel creare un romanzo che è un’insieme di tanti elementi tanto da diventare un connubio di immagini e sensazioni che accompagnano chi legge dall’inizio alla fine. I personaggi sono creati magnificamente e all’inizio sono come delle macchiette che attraverso i loro soprannomi sono facilmente riconducibili all’universo quotidiano di nostra conoscenza. Ma dirò di più. Sembrano muoversi in un teatro e recitare come burattini, mossi da mani invisibili di cui non hanno la minima idea. I capitoli si alternano, rappresentando uno stesso evento da diversi punti di vista, tutti rigorosamente in terza persona, senza contare i momenti in cui sono i ricordi dei protagonisti a prendere il sopravvento e allora la narrazione si carica di echi lontani e presenze inafferrabili.
Con lentezza, proprietà di linguaggio e capacità descrittiva, sulla scena compare il vero protagonista del romanzo, l’incontrastato Signore, unico dio di questa caterva di anime tutte dannate alla sua imperscrutabile volontà: il fiume Velino. Rieti è chiamata Venezia d’acqua dolce proprio per la presenza di questo fiume che in passato ha distrutto e inondato infinite volte il paesino, condannando gli abitanti al suo terribile dominio naturale. Sul suo fondale si raccolgono un numero imprecisato di pietre che la leggenda narra non sono altro che i contenitori immateriali in cui sono intrappolate tutte le anime di coloro che sono morti nel fiume. Una storia quindi tormentata ed oscura che coinvolge in prima persona proprio Sara Panni e quelli che vengono chiamati custodi, uomini e donne che devono conservare i ciottoli per evitare che il fiume se li riprenda. Sara è colei a cui viene affidato il compito di salvare quelle anime condannate dal fiume che ha preso possesso della loro energia vitale e l’unico modo che ha per farlo è prendere con sé tutti i ciottoli per liberarli dalla morsa dell’acqua. Quando scompare lascia il compito di conservare i suoi tesori ad un gruppo di persone con cui inaspettatamente si troverà a relazionarsi il più improbabile dei personaggi: Carlo Pascoli, il poliziotto che inizialmente prende parte a questa storia semplicemente per fingersi un marito-scrittore e per osservare dalla sua finestra tutti i movimenti della banda, per poi riportarli ai suoi superiori. Più verrà coinvolto nella storia dei custodi, più sentirà presenze e avvertirà profumi che lo ricondurranno al suo passato e al ricordo di persone morte, perché così funziona con le pietre. Esse fungono da richiamo per le persone che ad esse sono sensibili e li mettono in correlazione con i loro cari defunti. Ma non solo. Carlo verrà iniziato a questa inquietante scoperta attraverso una bambina di nome Giada, che crederà esistere realmente fino a quando non scoprirà che si tratta dell’ennesima incarnazione dello spirito di Sara che si materializza per farsi ascoltare. In altre parole il poliziotto avverte inesorabile la presenza dei fantasmi, delle anime morte. Sa bene di non avvertire direttamente lo spirito di Sara, ma sente quello che lei ha lasciato, ossia l’essenza contenuta nei ciottoli.
“I ciottoli sono anime contenute in un limbo oscuro. Finchè giacciono nel suo freddo letto, il fiume le tiene in ostaggio.”
Man mano che la storia procede, sembra che sia proprio Carlo a dover assumere il compito più importante, nonostante egli non si senta né abbastanza intelligente né abbastanza sensibile e quindi davvero all’altezza per portare il peso di questo così prezioso fardello, da cui sembrano dipendere le vite di tante persone che senza spiegazione, hanno una cieca fiducia in lui.
La trama s’infittisce e dopo un inizio anonimo che non fa assolutamente sospettare risvolti così macabri ed oscuri, entriamo nell’abisso nero della storia attraverso la scoperta di una serie di omicidi del passato e del presente che donano al romanzo un tono sempre più tenebroso a tal punto che sembra quasi che manchi l’aria. L’essenza malefica del fiume che tutto guarda e tutto comanda sale in superficie, attraverso le grida silenziose delle sue vittime innocenti e attraverso i corpi dei cadaveri sacrificati in nome della sua potenza e della sua benevolenza. E’ la sua natura malvagia e mistificatrice a corrodere l’aria, a renderla malsana, come se quei corpi ormai perduti esalassero gli umori demoniaci capaci di materializzarsi oltre l’umana comprensione e accettazione, per influenzare in ogni modo possibile le scelte e le vite dei protagonisti, indirizzandole verso la temibile ed odiata Morte.
Inevitabile quindi lo scontro tra Bene e Male, tra coloro come Carlo, Sara e gli abitanti della palazzina rosa, fulcro protettivo dei tesori della medium, che rappresentano i cercatori e i custodi delle pietre e il lato opposto della sponda, dove restano immobili e presenti il prete Don Lino, la portinaia Maria Malesti, l’edicolante Marco Sappi, chiamati ad assumere il ruolo dei traghettatori, di coloro che favorendo inondazioni, e piene apocalittiche del fiume nel passato e nel presente, lavorano affinché il Signore delle acque possa avere indietro le sue pietre che non sono altro che anime.
Il fiume è mostruoso e cattivo, è abilmente descritto come un essere che lentamente prende forma, da un’iniziale presenza quasi irrisoria e di contorno, esso diventa l’unico ed incontrastato mandante di una strage che ha visto morire persone in nome di una speranza che ha assunto fin troppo spesso i toni delle visioni più nere e maledette. Da elemento naturale, parte di una natura apparentemente benevola, esso ha messo fuori denti e bocca, artigli e braccia, per uccidere e ingoiare carni umane. Un’entità famelica ed oscura, esaltata da una natura immortale tanto quanto mortifera. Il fiume guarda e detta legge sulla vita di ognuno e attende che a lui tutto inesorabilmente torni. L’umanizzazione di questa presenza inquietante è portata ai massimi livelli, a tal punto da credere che esso pensi e agisca come una persona con una propria volontà, a cui manca davvero solo la parola.
Più si va avanti nella lettura, più i toni soprannaturali prendono il sopravvento, fino alla comparsa degli zombi e di un finale apocalittico e per nulla scontato. La capacità dell’autrice è quella di essere riuscita ad incastrare una trama carica di colpi di scena che col tempo vengono fuori. Solo dopo ci si rende conto che tutti i personaggi non sono quello che sembrano ma non perché nascondono qualcosa ma perché si rendono conto di ciò che possono essere insieme al lettore. Lo scoprono loro stessi nel mentre vivono una vicenda senza precedenti.
La mente della Lattaro costruisce una storia in cui ogni personaggio è lì da sempre, il lettore lo ha davanti agli occhi e non se ne accorge. La verità appare così chiara alla fine ma l’abilità narrativa di chi scrive, non permette a chi legge di venirne a capo se non dopo.
Da sottolineare anche la bravura nell’inserire elementi soprannaturali in un contesto quotidiano e renderli credibili, accettabili, senza che essi stonino eccessivamente facendo perdere consistenza ad una storia molto accattivante e costruita in maniera impeccabile. Ogni tassello torna al proprio posto e man mano che si legge la storia, ci si chiede “Cavolo, come ho fatto a non pensarci?!”
In realtà era impossibile arrivarci perché l’autrice è molto brava a creare un’intelaiatura di vicende e stati d’animo, di movimenti e dialoghi che non fanno minimamente sospettare quale sia la verità che si cela dietro ad ogni personaggio. Ognuno di essi vi sorprenderà, lasciandovi a bocca aperta com’è successo a me. Personaggi come il pesce, Pavento, lo stesso papalino ed Elisa, vi sorprenderanno a tal punto da lasciarvi allibiti, perché i segreti covano in questo romanzo ed è il fiume a chiudersi per soffocare ogni grido d’aiuto che possa giungere alle vostre orecchie.
Il Velino è implacabile, vuole le sue vittime. E sarà lui, freddo e profondo, con la sua fame e le sue onde solo apparentemente innocue, a trascinarvi nel suo alveo dove si custodiscono i più oscuri misteri e tesori. Dove la morte giace sonnolenta e perduta, dove i cadaveri a volte riemergono durante le piene, e gli occhi di chi è più sensibile, può cogliere il loro sguardo perduto senza più un’anima. Ma se starete attenti potrete cogliere i sospiri e i sussurri di ciò che resta della loro vita, perché saranno quelle pietre a parlare, e nel silenzio ad incantare i vostri cuori e la vostra mente così come le parole di questo romanzo sembrano intonare un canto melodioso e maledetto, un canto di morte e vita, una nenia di dolore e rinascita che spingono per uscire dal “deserto di tenebre”.
Una volta conosciuti questi fantasmi, sarà difficile dimenticarli, sarà difficile dimenticare la potenza del fiume, le vite che si è preso, il cimitero di cui è diventato custode in cui non esiste la pace eterna. Esiste solo una strana musica che continua inesorabile oltre le pagine, oltre la storia, una musica sottile e nascosta, di cui non è dato conoscere il nome. Non ci resta che prestare ascolto ed attendere, una musica c’è sempre.
Venezia d'acqua dolce
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