Vent’anni di Sessantotto. Gli avvenimenti e le canzoni che raccontano un’epoca di Sergio Secondiano Sacchi, Sergio Staino, Steven Forti

L’Italia dicotomica del “lungo Sessantotto”, è stata dicotomica anche nelle canzoni. Da un lato le classifiche dominate dai brani scacciapensieri - passi ancora ancora per l’infida marcetta contiana di Azzurro (Adriano Celentano), le altre hit dell’anno sono tutte un programma: La Bambola (Patty Pravo), La nostra favola (Jimmy Fontana), La tramontana (Antoine), Luglio (Riccardo Del Turco), Ho scritto t’amo sulla sabbia (Franco IV e Franco I) -; dall’altro le canzoni-inno dei cortei firmate Pietrangeli, Bertelli, Della Mea, Amodei.
Da un lato i conservatori legati (anche) alle ugole innocue di Massimo Ranieri, Gianni Morandi e Mino Reitano, dall’altro i giovani che iniziano a far fruttare con gli interessi le lezioni americane di Bob Dylan e Joan Baez. Seguono inoltre l’evolversi della guerra in Vietnam, si informano, si interrogano, si mobilitano. Chiedono ovunque la fine dei conflitti, sognano la California e una nuova realtà. Un mondo meno arido e più a misura d’uomo, per dirla in parole povere. Differenti rapporti sociali ed economici: il potere all’immaginazione. Il senso del collettivo irrompe con entusiasmo nella vita di tutti i giorni. Si spazza via, sin dalle fondamenta, ciò che è stato (e ha rappresentato) sin qui la cultura giovanile. Compresa - ovvio - la sua musica.
Alla faccia della tradizione, delle tronche ossequiose alla rima, in barba alle ugole d’oro, alle regole imposte dal bel canto, si cerca un contatto con la tradizione popolare italiana. Con la sua storia, le sue canzoni. Canzoni anarchiche, contro la guerra, comuniste.

Comincia in questo modo la (felice) stagione del folk revival. Dalla strada e la piazza ai sogni e alle lotte a seguire. È tempo di crossover, di incroci, contaminazioni, si direbbe oggi. Si combinano tra loro elementi di musica colta e popolare, il rock e il jazz, tarantelle e improvvisazioni. Si utilizza la poesia, mettendo in primo piano la parola che fino a oggi in canzone ha ricoperto un ruolo poco più che contingente. Questo curato da Sergio Secondiano Sacchi, Sergio Staino e Steven Forti non è un volume sulla scia degli altri nostalgico-commemorativi usciti in occasione del cinquantennale sessantottesco. “Vent’anni di Sessantotto. Gli avvenimenti e le canzoni che raccontano un’epoca” (libro con due cd allegati, Squilibri 2018) inquadra il periodo nella sua fase aurea e da focus differenti – parole, canzoni, disegni, contesti – rintracciandone la Weltanschauung internazionale e ripercorrendone i topoi ideali e ideologici.
Per esempio il mitizzato “maggio francese” (che ha dato la stura alla contestazione europea) e le sue declinazioni nel corso del tempo, sotto e sopra le ceneri attive della rivolta giovanile. I giorni e lotte per una causa comune: l’affrancamento delle costrizioni più retrive del potere - genitoriale o governativo che sia -, come dalla malattia mortale che passa sotto il nome di capitalismo. Ricostruendo in senso diacronico gli avvenimenti topici dell’annus mirabilis, Sacchi, Staino (col suo Bobo) e Forti, corredano il volume di una corposa sound track sull’argomento: 45 canzoni in due CD, affidate alla rilettura vocale, tra gli altri, di Cristiano De Andrè, Claudio Bisio, Alessio Lega, Paolo Pietrangeli, Max Manfredi, Têtes de Bois e altri ancora. Non le canzoni del Sessantotto, ma il compendio delle tracce che il Sessantotto hanno raccontato da vicino, a prescindere dall’anno di pubblicazione.
Per motivi impliciti ed espliciti a tutto ciò “Vent’anni di Sessantotto” si impone come un inedito e fluviale testamento ontologico. Una (ri)lettura propedeutica e anti-nostalgica, per chi non ha smesso di confidare nelle istanze sessantottine e/o per chi ha cominciato da poco a farle sue: la lotta può, dovrebbe, deve continuare. Caldamente consigliato alle scuole.