Vita di Guerra
- Autore: Giuseppe (Bepi) Magrin
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Un libro di guerra dedicato alle penne nere, in particolare agli Alpini bergamaschi, perché raccolgano l’eredità di un grande vecio. Il volume è “Vita di Guerra. Della guida ardita Giacomo Pesenti eroe dei ghiacci” (primavera 2017, pp. 94, euro 15,00), secondo titolo della collana Vita di Guerra, curata da Bepi Magrin per la Casa editrice il Prato, di Saonara, Padova. Autore del saggio storico è lo stesso scrittore di montagna, Giuseppe Magrin, per tutti Bepi, rocciatore, ufficiale in congedo delle truppe alpine, nato a Valdagno nel 1948.
Protagonisti esemplari di questo testo sono un alpinista, il suo lucido diario di guerra e la sua impresa, che Luciano Viazzi - altra grande firma della guerra bianca - ha definito
“la più ardita e spericolata azione alpinistica di tutto il conflitto 1915-18”
la riconquista di Punta Thurwieser, una cima che si eleva ad oltre 3560 metri, nel Gruppo Ortles-Cevedale, nelle Alpi orientali, tra la Lombardia e l’Alto Adige.
Niente di decisivo ai fini bellici, quello che avveniva lassù, nell’aria rarefatta delle grandi altitudini e nello scontro tra reparti altrettanto rarefatti numericamente. Eppure ci si batteva ugualmente, in verticale più che in orizzontale come avveniva invece sul Carso. Eppure si vinceva, si perdeva, si moriva, come accadde al bravo capitano Arnaldo Berni, disperso sul San Matteo nelle ultime settimane di guerra.
È un bel volume, ricco di fotografie in bianconero ben riprodotte e con varie testimonianze e ricostruzioni in aggiunta le memorie di Giacumì, che sopravvisse al conflitto pur affrontato dall’inizio alla fine. Inimitabile ma modesto scalatore, è morto nei primi anni Sessanta, dopo aver più volte rievocato l’impresa, compiuta alla testa di un gruppo di alpini coraggiosi.
Giacomo era giovanissimo sotto le armi. D’altra parte, non si può che essere dei solidi ragazzoni per poter sopportare le fatiche, gli stenti, il gelo e le insidie dell’alta montagna. Sepp Innerkofler è stato una rara eccezione: famosa guida alpina tirolese, aveva cinquant’anni quando cadde nelle sue Dolomiti di Sesto, volontario tra gli standschutzen, la milizia alpina territoriale dell’esercito austriaco.
Anche Giacumì era volontario e aveva faticato parecchio a convincere la mamma che i giovani avevano il dovere di andare a combattere per l’Italia. Quando si arruolò negli Alpini era fine maggio del 1915 e aveva solo diciotto anni, ma un cuore grande e pure una certa faccia tosta, visto che nella domanda presentata al Distretto di Bergamo aveva falsificato la firma del padre, indispensabile per convalidare la scelta di un minorenne qual era. Lasciava un lavoro promettente da piastrellista, ma era tanto l’entusiasmo di andare a fare la storia del Paese.
La voglia di spaccare il mondo venne delusa, sulle prime. Pattuglioni in Valtellina, corvè di rifornimento ai posti avanzati e qualche disagevole servizio di guardia nel gelo. Se un lembo della mantellina restava troppo a lungo a contatto col ghiaccio, diventava tutt’uno con l’ambiente gelido e occorreva tagliare il panno o piccozzare tutto intorno.
Arrivò all’azione dell’estate 1917 dopo aver accumulato esperienze e meriti, ama anche qualche disobbedienza veniale. Il 27 agosto, il colonnello Mazzoli porta la notizia che gli austriaci hanno conquistato di sorpresa la vetta del sottosettore Trafojer-Thurwieser (scavando nella neve una galleria di un chilometro e mezzo), a 3500 metri, irrompendo all’improvviso e facendo prigionieri gli alpini del piccolo presidio.
Il comandante chiede volontari, soprattutto guide esperte. Pesenti è tra i primi. Vanno in quindici, cinque in più dei dieci richiesti. Lunga preparazione, grande scalata ad altissima quota, sempre col rischio d’essere avvistati dalle vedette sulle punte circostanti.
Col rinforzo di altri venti sciatori e l’appoggio dell’artiglieria, un salto sulla sommità scoscesa, di corsa nelle gallerie urlando come forsennati e i nemici si arrendono. Thurwieser è di nuovo in mani italiane.
In appendice al volume, si ha modo di apprezzare un breve ma intenso profilo di Carlo Mazzoli, comandante alpino capace quanto anticonformista, un gigante barbuto, coi capelli lunghi alla nazarena e tanta cura per i suoi dodici cani da slitta, che amava accudire personalmente. Nato a Cesena nel 1878, aveva intrapreso la via del sacerdozio in giovane età, rinunciandovi per darsi alla vita militare. Era figlio di Teresa Orsini, sorella di Felice, il patriota che attentò alla vita di Napoleone III. Ufficiale degli Alpini, Mazzoli si distinse nel 1908 nei soccorsi ai terremotati di Messina e in Libia.
Nella Grande Guerra il suo ardore divenne leggendario. Si vantava d’aver ricevuto direttamente dal Re il permesso di non tagliare i capelli. Sembra che la capigliatura servisse a nascondere non poche cicatrici sul capo…
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