A noi non accadrà. Un marinaio nella Seconda guerra mondiale. Da Barga a Capo Matapan, la prigionia, Bari
- Autore: Mario Zeppolini, Romano Zipolini
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
Fine anni Trenta del 1900, incrociatore pesante Zara della Regia Marina, novecento uomini d’equipaggio sulla nave ammiraglia della Prima Divisione navale. Che orgoglio per il giovane Mario portarne il nome sul berretto da marinaio. A ottanta e più anni di distanza, è certamente emozionante salire a bordo di quello splendido gioiello d’acciaio, finito sul fondo del mare in pochi terribili minuti al largo della Grecia meridionale, la notte del 29 marzo 1941.
Possiamo letteralmente imbarcarci, seguendo il racconto del ragazzo, nel diario-romanzo A noi non accadrà. Un marinaio nella seconda guerra mondiale da Barga a Capo Matapan, la prigionia, Bari, firmato da Mario Zeppolini e Romano Zipolini, pubblicato nel 2019 nella collana storica della casa editrice lucchese indipendente Tralerighe Libri e illustrato con numerose immagini, anche private, in bianconero.
Mario e Romano sono padre e figlio, perché il primo, seguendo i suoi sogni giovanili alimentati dalla lettura di libri d’avventura e di guerra, andava convincendo tutti a chiamarlo Zeppolini, modificando il suono del suo lungo cognome e adattandolo alla fonetica del gigantesco dirigibile tedesco Zeppelin.
Figlio del fornaio di Barga (il papà e nonno erano socialisti, “ma come Lenin, non come Mussolini”), dopo una marachella aveva dovuto arruolarsi nel Corpo Reale Equipaggi Marittimi con l’amico di sempre, Ottone. Finite le scuole di Marina a La Spezia e Pola, erano stati assegnati all’incrociatore di base a Taranto, rimanendovi fino alla notte fatale.
È morto nel 2003, non ancora novantenne. Amava leggere - sebbene artigliere contraereo, lo avevano incaricato di riordinare la biblioteca di bordo - e anche scrivere, ma le sue cose sono andate giù con la Zara. Sono rimasti solo gli appunti giovanili: il figlio avvocato li ha trasformati in questo libro, tradendo per una buona causa la raccomandazione paterna di leggerli solo lui. La giusta causa è far conoscere dopo tanti anni le piccole e grandi vicende, il modo di affrontarle e di pensare di un ragazzo di allora.
Attraverso Mario è una generazione intera che parla, è un equipaggio al completo che rivive, è la storia che si fa cronaca, attuale sotto diversi aspetti, datata invece in certi passaggi, come il foxtrot e lo shake citati da Romano nella dedica al babbo, balli superati eppure rivoluzionari al loro tempo.
Novecento uomini sull’incrociatore Zara, 183 metri di lunghezza per 21 di larghezza massima. Ospitava un cinema, una palestra, una biblioteca fornita. Fatte le dovute proporzioni, era più affollato del loro paese natale, Barga, in provincia di Lucca.
Mario era innamorato della sua bella nave, “maestosa, moderna invincibile”, l’amava più di qualsiasi donna conosciuta, sapeva che non l’avrebbe mai tradito, gli garbava anche il motto: “Tenacemente”, gli si addiceva. Amava meno la Regia Marina, ma la rispettava. Anche se lo aveva accolto come volontario obbligato, non tollerava certi ordini che trovava sciocchi, come la fissazione del comandante del corso CREM di costringere gli allievi a lavarsi all’aperto, con l’acqua prelevata da botti, dovendo spesso spaccare la lastra di ghiaccio creata in superficie dal gelo di Pola. E che dire del caposquadra artiglieria contraerea dello Zara? Pretendeva che tutti i suoi uomini portassero i baffi. A Mario stentavano a crescere, ma il superiore non ammetteva eccezioni, sicché gli toccava dedicare la massima attenzione nel rasarsi, per non rovinare il suo “capolavoro”, che nelle ragazze di Taranto sembrava destare un certo interesse.
Nel primo scontro navale con la flotta inglese, il 9 luglio 1940, la forte formazione nemica sembrava spacciata per l’arrivo di un enorme stormo di aerei italiani. Ma quelli, “maledizione”, bombardarono le navi amiche e le unità della perfida Albione non persero tempo a disimpegnarsi.
In pochi, rapidi, drammatici tratti viene descritto l’attacco aereo al porto di Taranto che costò pesanti danni a tre corazzate tricolori. Poi, la fatale notte di Capo Matapan. Una squadra navale italiana entrò in contatto con una avversaria, il duello a distanza non provocò danni, ma una squadriglia di aerosiluranti inglesi, indisturbata dalla mancanza di copertura aerea alle nostre navi, si accanì sull’ammiraglia Vittorio Veneto. Colpito alle macchine, l’incrociatore Pola rimase bloccato. Lo Zara venne inviato in soccorso, ma non si accorse del sopraggiungere di forti unità avversarie.
Non ebbe modo di difendersi, sorpreso in assetto di navigazione. Il cannoneggiamento da distanza ravvicinata fu implacabile per i marinai italiani, “traditi dai nostri comandanti e abbandonati al nostro destino”, scrive Mario.
Lui e Ottone applicarono alla lettera gli insegnamenti della Scuola di Pola. Si gettarono in mare, dove non c’erano naufraghi, e raggiunsero una zattera. Abbandonati alle onde, soffrirono la sete, il sole, il gelo notturno, videro aggirarsi gli squali. Restavano sempre meno compagni sul galleggiante precario, finché vennero salvati da una nave greca e finirono in un campo di prigionia ad Atene. Vennero liberati all’armistizio con l’Italia e la Germania. Tornati in servizio nella Regia Marina, spostati da un’unità all’altra, si scontrarono con una disciplina che sembrava ancora più assurda. Ma la guerra per loro non finì nemmeno dopo l’8 settembre.
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