Un caso bizzarro per il commissario Carra
- Autore: Claudio Arbib e Rodolfo Rossi
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2016
Bizzarro è esattamente l’aggettivo che si addice a questo giallo italiano, come lo definisce la Newton Compton che lo ha appena pubblicato; il libro è firmato a quattro mani da Claudio Arbib e Rodolfo Rossi, insegnanti rispettivamente dell’Università dell’Aquila e del Conservatorio di Latina, e infatti c’è molta cultura, artistica, letteraria, classica seminata con leggerezza nelle pagine di questo romanzo appassionante, nel quale la trama gialla, abbastanza ovvia, piena com’è di malavita romana ormai nota ai più (campi rom, circhi nei quali si aggirano personaggi dell’Est europeo poco raccomandabili, prostitute slave ed africane, bande di pedofili che agiscono su siti web ben occultati, relitti umani alla deriva, droga, furti e tutto il resto del repertorio), è il pretesto per parlare di una squadra di poliziotti romani normali, né eroici né troppo violenti, guidati dal commissario Carra, divorziato, solitario, amante del pesce freschissimo che cucina da vero chef, abbastanza pigro, molto intuitivo, non troppo abile con le donne, ma al fondo pieno di malcelata umanità, che traspare dal suo modo di lavorare e di avere rapporti con i collaboratori. Non ci sono donne nella sua squadra, solo due o tre poliziotti normali anch’essi, ma che al momento giusto sanno agire in modo risoluto ed efficace.
Nel libro c’è molta ironia, affidata ai dialoghi tra Carra e il magistrato di turno, che parla solo per frasi fatte e proverbi latini, che inanella con inutile pedanteria nelle circostanze meno idonee; non male anche il rapporto del commissario con l’amico professore universitario, Luigi Bevilacqua, che costringe Carra a serate cinematografiche molto impegnative, come la retrospettiva di Kusturica, ma capace di parlare con competenza di Surrealismo, fornendo così al poliziotto chiavi di lettura per una caso complicato che vede in prima linea la carcassa di un grosso elefante, ucciso da un overdose di droga, che finisce per essere il fil rouge che segue l’intera vicenda. Cecconi Attilio è un barbone fuori di testa, che si scoprirà essere l’elemento principale nel chiarimento della vicenda; padre Sergio è un prete di periferia con i Ray-Ban, la sigaretta, strane e disdicevoli frequentazioni, rimosso dal vescovo ma comunque ancora prete. Gli slavi, dai nomi improbabili, fanno i circensi, i giardinieri, gli sfasciacarrozze, le prostitute, i ladri, come nei più consueti luoghi comuni sui rumeni immigrati in città. Carra si aggira per Roma attraversandola tutta, in auto, in bus, in metro, percorrendone quartieri centrali e lontane e sconosciute periferie, incontrando personaggi che per noi romani costituiscono una deprimente assuefazione: la signora con la Smart che non guarda mentre fa la retromarcia, tutta presa a “massaggiare la tastiera del cellulare”, la rom a cui rapiscono il bambino di pochi anni per mandarlo a mendicare nell’indifferenza dei suoi compagni di campo, il cinismo del guardiano del bioparco, indifferente alle richieste del poliziotto mentre dà da mangiare agli animali secondo un preciso menù, spaventato solo dalle “responsabilità”.
Gli autori sono davvero attenti osservatori del degrado di Roma ai nostri giorni, che descrivono con puntigliosa precisione: seguono Carra in ferie per qualche giorno,
“prese un caffè al Tuscolano, un panino con la porchetta al Mandrione, un gelato pomeridiano al Pantheon, una birra serale in un bar accanto a un lurido distributore di benzina alla fermata Anagnina. A San Paolo fuori le Mura incontrò maschi adulti dai visi inespressivi sopra cravatte regimental annodate su camicette a maniche corte dai colori tenui (...) A Termini vide gente nera con vestiti molto più belli e colorati di quelli della gente bianca (…) Al Colosseo inquadrò un centurione accendersi una sigaretta e guardare l’orologio, e lo ascoltò mentre diceva al collega vestito uguale – Vedi un po’ che poi fa’ co’ quelli, io tra mezz’ora stacco. In un angolo di un portone aperto sulla sobria eleganza di Prati lesse – Tom, Jim, Justyn, Terry, Kirk - e poco più sotto – ‘na mandria de froci – scritto, va detto, con calligrafia differente”.
Un po’ commedia all’italiana, un po’ serie televisiva poliziesca, il romanzo ha il pregio di essere scritto in un linguaggio colto, pieno di citazioni che non appesantiscono la narrazione, ma che anzi le conferiscono quel tono leggero e piacevole che è la cifra migliore del romanzo.
“La storia appena terminata ruota attorno a un celebre dipinto di Max Ernst, L’ELéphant Célèbes della Tate Gallery di Londra, ma con allusioni più o meno aperte, il testo nasconde opere note e meno note di altri pittori, più o meno surrealisti, contemporanei o non di Ernst: sapreste individuarli?”
ecco il compito per i lettori più colti e attenti!
Un caso bizzarro per il commissario Carra
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