...e ora parliamo di Kevin
- Autore: Lionel Shriver
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2008
Avete presente quegli horror dove i figli (piccoli) dell’Anticristo ne combinano di tutti i colori prima che il loro imprinting maligno sia rivelato al mondo? Beh, questo libro è molto peggio, perché, fra le sue pagine, il disagio è interiore e ha molto a che vedere con i sensi di inadeguatezza e di colpa.
“…e ora parliamo di Kevin” di Lionel Shriver (Piemme, 2006) possiede il passo lento e devastante di un cingolato: un romanzo-fiume, interminabile, a tinte fosche, spietato, autenticamente disturbante, costruito con coraggio attorno al tema-tabù della maternità subita. La storia nero-pece di una mamma in odor di anaffettività e di un figlio difficile, che in un giorno qualsiasi di un qualsiasi aprile compie un massacro nel suo liceo.
Lui si chiama Kevin e all’epoca dei fatti (“quel giovedì”) ha soli sedici anni; lei Eva - come la prima donna, la madre di Caino - per il “mostro” ha sacrificato, fra diverse altre cose, la sua carriera lavorativa. Non ci sono santi e nemmeno eroi nel libro della Shriver (tradotto in 13 lingue e adesso anche film per la regia di Lynne Ramsay, nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 10 febbraio 2012): al suo interno tutto è plausibile, concreto, sperimentabile/sperimentato (dalle dinamiche familiari alle descrizione di interni/esterni, metropolitani o provinciali che siano); il disagio che arreca al lettore non viene da mostruosità altamente improbabili, è piuttosto di matrice quotidiana, ancorato alla psiche, alle zone buie occultate dalla patina di apparente normalità, per questo è più infido e difficilmente sopportabile. La storia di Eva, in altre parole, potrebbe essere la storia di una qualunque mamma con carrozzina a seguito, e finanche la nostra.
Come in un impietoso compendio degli elementi del disastro, la banalità del male (non c’è movente dietro il gesto omicida) è restituita pagina dopo pagina dall’ottica di Eva, con la minuzia entomologica di una scrittura che non risparmia niente e nessuno: né la protagonista, né tanto meno il lettore, catapultato in media res, fra le pieghe esplicite e implicite di un rapporto madre-figlio che una certa agiografia vorrebbe tenero e rassicurante ma che, per primo Freud ha descritto nella sua ambivalenza. Così, a fine lettura, forse vi sarà passata la voglia di procreare, ma avrete letto il romanzo più nero, meglio scritto, psicologicamente più credibile, degli ultimi dieci anni. E non illudetevi nemmeno di sbarazzarvi in fretta di Kevin: la sua ombra lunga è una presenza con la quale dovrete (dovremo) prima o poi fare i conti, perché Kevin è - anzi tutto - figlio dei nostri tempi.
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Grazie per la bella recensione. Ho visto il film e ritengo che nessuna donna incinta dovrebbe vederlo. Quando si dice che un figlio ti cambi la vita non si considera mai questo genere di "rischi" della maternità. Il film lascia una sensazione di angoscia claustrofobica all’idea di ciò che il frutto del tuo grembo potrebbe diventare. L’interrogativo pressante "Il comportamento di Kevin dipende da sua madre?" resta senza risposta sia per Eva, dilaniata dal senso di colpa, che per lo spettatore.
Non ho ancora visto il film e non sono nemmeno donna (meno che mai incinta) ma ribadisco che il romanzo è disturbante, nel senso più autentico e "utile" - oso dire -della parola. A contare gli spunti di riflessione che contiene sottotraccia si perde letteralmente il conto...