Il 6 aprile è una data indimenticabile per gli amanti della letteratura. Proprio in questo giorno infatti, il Venerdì Santo del 1327, avvenne il primo incontro tra il poeta Francesco Petrarca e la sua musa ispiratrice, Laura de Noves, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone.
Il primo incontro tra Petrarca e Laura
Al giorno fatidico del suo innamoramento, che non a caso coincide con il Venerdì Santo e dunque con la passione di Cristo, Petrarca dedicò un sonetto che ha un ruolo chiave nel Canzoniere: Era il giorno ch’ al sol si scoloraro, il primo dei componimenti dedicati all’amore per Laura.
Il parallelismo funesto tra l’innamoramento del poeta e l’evento della crocifissione, luttuoso per la storia cristiana, sembra gettare l’ombra di un presagio sull’intera vicenda amorosa. Laura infatti morirà il 6 aprile 1348 - si noti la coincidenza del giorno - esattamente ventuno anni dopo l’incontro con Petrarca.
Quel 6 aprile 1327 in ogni caso Francesco Petrarca incontra Laura e perde la sua pace, brucia e arde, colpito dalla freccia fatale dell’innamoramento: per il poeta è l’inizio del conflitto interiore, tra Fede e Amore, che determinerà l’intero svolgimento del Canzoniere chiamato anche Rerum vulgarium fragmenta, la raccolta di trecentosessantasei poesie in cui narra il suo amore per la donna.
Il poeta racconta di essere stato come incatenato dagli occhi belli di Laura e che l’amore lo sorprese del tutto disarmato. La freccia è stata scoccata ma la donna - dalle sembianze angeliche - non stringe nelle mani alcun arco, possiede solo una bellezza celestiale che sembra tutta racchiusa nella luce dei suoi occhi.
Da notare come lo sguardo di Laura sembri crocifiggerlo, inchiodandolo all’istante, senza lasciargli possibilità di fuga. La passione di Cristo coincide significativamente con l’inizio del sentimento amoroso per il poeta, che accoglie l’amore come una ferita mortale.
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi: il celebre sonetto 90
Per ricordare il primo incontro tra il poeta e la sua musa, scopriamo una delle poesie più celebri che Petrarca dedicò a Laura: il sonetto Erano i capei d’oro a l’aura sparsi.
Nella lirica, composta tra 1339 e il 1347, Petrarca rievoca a distanza di anni il primo incontro con Laura. Nel sonetto il poeta ricorda quando si innamorò perdutamente di lei, colpito dalla sua folgorante bellezza e paragona la sua immagine di allora a quella del presente, in cui la giovinezza è sfiorita dal suo volto. L’amore che Petrarca nutre per lei tuttavia permane immutato, come il primo giorno in cui la vide.
Scopriamo testo, parafrasi e analisi del componimento.
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi di Francesco Petrarca: testo
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro, che pur voce humana.Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi di Francesco Petrarca: parafrasi
Quel giorno - il fatidico 6 aprile 1327, Ndr - i capelli biondi erano sparsi al vento che li avvolgeva in mille dolci nodi e l’incantevole luminosità di quegli occhi belli, che ora sembrano esserne privi, ardeva in modo eccezionale;
Mi sembrava che il suo viso (non so veramente o per mia illusione) assumesse un’espressione di compassione nei miei confronti: c’è forse da stupirsi se io, che già avevo nel petto palpitante la predisposizione ad amare, mi infiammai subito d’amore per lei?
Il suo incedere per la strada non era proprio di una donna mortale, ma simile al movimento di un angelo. Le sue parole risuonavano in modo diverso da una normale voce umana.
Quello che io allora vidi fu uno spirito del cielo, un sole luminoso: e se anche ora non fosse più così, la mia ferita d’amore non guarisce nonostante l’arco (che ha scoccato la freccia, Ndr) sia stato allentato.
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi di Francesco Petrarca: analisi
Nel celebre sonetto 90 del Canzoniere il volto di Laura sembra emergere da remote lontananze.
Petrarca nel primo verso allude al nome della donna amata tramite l’espediente del senhal, tipico della poesia provenzale. Come i trovatori provenzali Petrarca nasconde in un termine, in questo caso “l’aura”, il vento, il nome della sua dama, come un omaggio.
La poesia è strutturata secondo lo schema rigido del sonetto: diviso in due quartine e due terzine in versi endecasillabi. Le prime due quartine presentano una rima incrociata (ABBA-ABBA), mentre le terzine hanno rime replicate con inversione (CDE-CDE). Il lessico utilizzato dal poeta è aulico e ricco di latinismi (es. “aura”, “humana”).
L’autore riprende le tematiche tipiche del Dolce Stilnovo: la donna viene descritta come una creatura angelicata, che richiama la Beatrice dantesca. Laura appare come un angelo e le sue sono movenze celesti, che si discostano da tutto ciò che è umano. Tuttavia a questo tema stilnovista Petrarca aggiunge un inedito contrasto che rappresenta il fondamento dell’intera lirica: la sua Laura non è una presenza eterna e immortale come la Beatrice di Dante, ma una donna umana che è soggetta all’invecchiamento e alla malattia.
Lo scarto tra il passato e il tempo attuale è sottolineato nella lirica dal cambiamento dei tempi verbali: imperfetto “erano”, passato remoto “arsi” e “vidi”, poi di nuovo presente. Il tempo presente non caso è rappresentativo dell’incertezza del poeta: “non so se è vero o falso”.
La dimensione angelica della donna è infatti totalmente circoscritta al percezione soggettiva del poeta e all’amore che costui nutre per lei e che lo infiamma come un fuoco riprendendo la nota metafora “fuoco/amore”.
Nella seconda strofa Petrarca ricorda il momento dell’innamoramento e il modo in cui la vista di Laura infiamma il suo cuore. A differenza di Beatrice che in Tanto gentile e tanto onesta pare fa sospirare i passanti, la Laura di Petrarca agisce soltanto sul cuore del poeta accendendo nel suo animo un sentimento nuovo.
Laura è dunque lontana dall’idealizzazione tipica della poesia Stilnovista, sebbene ne ricalchi in gran parte le sembianze.
Il suo essere non si associa a simboli metafisici e soprannaturali, ma è soggetto alla caducità del tempo e della vita. Quella di Laura è una bellezza che sfiorisce, eppure rimane eterna nel ricordo di un cuore fedele.
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi di Francesco Petrarca: commento
Francesco Petrarca ci presenta una donna umana, la cui bellezza sfiorisce e invecchia, e nonostante ciò rimane sempre angelica e splendente negli occhi di colui che la ama. Non importa se l’arco che ha scoccato la freccia d’amore si è allentato, conclude il poeta, la passione che esso ha suscitato è sempre presente e continua ad ardere.
L’invecchiamento di Laura è l’aspetto che più allontana la musa di Petrarca dall’immagine della “donna-angelo” dello Stilnovo. Laura è una donna umana per cui il poeta prova un amore passionale, lontano da ogni sentimento di elevazione religiosa.
La conclusione del sonetto si ricollega a un brano del Secretum, in cui Sant’Agostino accusava Petrarca di amare soltanto l’aspetto esteriore di Laura e il poeta si difendeva dalle sue parole inquisitorie affermando che i suoi sentimenti permanevano immutati, nonostante la bellezza dell’amata fosse ormai sfiorita.
Petrarca in un solo verso ribadisce l’eternità del suo amore, che continuerà a bruciare imperituro persino dopo la morte della donna e nonostante il trascorrere del tempo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi”: Francesco Petrarca e il primo incontro con Laura
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