Io, morto per dovere di Luca Ferrari e Nello Trocchia

Un’inchiesta scomoda quella dei rifiuti; una faccenda che sporca e uccide tutti coloro che vi si addentrano. Roberto Mancini è uno tra questi: poliziotto testardo e altruista, il vicecommissario aveva già fiutato negli anni Novanta che il malaffare sui rifiuti iniziava a fare affari d’oro. Ciò, però, portava la gente a morire, inspiegabilmente. Attraverso il suo memoriale, il rappresentante delle forze dell’ordine denuncia tutto e tutti, senza peli sulla lingua e senza paura di alcuna ripercussione. E per questo muore. A soli 53 anni, devastato da un male incurabile. E implacabile.

Attraverso "Io, morto per dovere" i giornalisti d’inchiesta Luca Ferrari e Nello Trocchia, con la collaborazione della moglie di Mancini, Monika Dobrowolska, raccontano la storia del poliziotto che inchiodò i grandi clan dell’affare rifiuti. Un giro di soldi sporchi, che arricchiva tutti: politici, uomini d’affari, imprenditori e perfino tutori dell’ordine; il vortice della "monnezza" non risparmiava nessuno, a partire dall’avvocato Cipriano Chianese, fino ad arrivare alle famiglie malavitose più famose: dai Casalesi agli Schiavone. Nessuno tranne Roberto Mancini il cui amore per la divisa, per il dovere e per ciò che rappresentava era più forte.

Struggente - alla fine del libro - quanto scrive di lui la figlia Alessia che, alla morte del padre, aveva appena 13 anni. Un testo, "Io, morto per dovere", da leggere tutto d’un fiato e da cui trarre un insegnamento: non arrendersi mai di fronte al malaffare. Anche a costo della vita.