Dare la vita
- Autore: Michela Murgia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Rizzoli
- Anno di pubblicazione: 2024
Chi scrive ammette di aver pensato che questo saggio Dare la vita andasse ampliato e così invece, come ce lo presenta Rizzoli, se al posto dell’autrice vi fosse stato un nome anonimo sarebbe nella lista dei saggi da rivedere o forse addirittura cestinato, se non si trovava un editor di buona volontà.
Il motivo fondante di questo saggio incompleto di Michela Murgia è la capacità di essere madri, senza esserlo “biologicamente”. Poi è un saggio sul tradimento delle parole. A questo proposito, però, l’autrice si è limitata nel concreto a mettere le “e” rovesciate, che pochissimi telefoni hanno in dotazione, sempre per la sua battaglia queer che Murgia racconta in questo modo:
"La struttura dei rapporti queer rigetta la fedeltà e richiede l’affidabilità. Con chi vai a letto o di chi ti innamori sono dati inifluenti: la romanticizzazione e la sessualizzazione dei rapporti sono le armi con cui il binarismo patriarcale controlla la vita delle persone, specie di quelle che chiama donne".
Il problema enorme della denuncia del patriarcato è vedere in ogni uomo maschio la violenza, la volontà di rendere la donna di sua proprietà; in ogni uomo c’è un potenziale "stupratore", ma chi scrive si ferma qui, perché non si sa poi il pensiero dell’autrice come sarebbe poi sviluppato in avanti, dal momento che per alcune battaglie di genere che lei voleva promuovere, in realtà, non c’era la ragazza, la donna, come “soggetto politico”.
Per ora Murgia si era fermata all’odio verso il governo Meloni e in particolar modo il vicepresidente Salvini, ma su altri fronti aperti come la moralità pubblica e l’impegno delle donne nel sociale, si faceva comunque riferimento allo “stato delle cose” in Italia.
La malattia fissò questo pensiero della donna perseguitata, perché, come ripeteva spesso, centinaia di volte aveva spiegato ad altre donne e anche agli uomini cosa era il concetto di queer, ma è lei stessa che confessa:
Ammetto che non sono sempre stata capace di gestire con raziocinio le mie stesse reazioni davanti all’ostilità latente con cui sono stata a rappresentare la comunità LGBTQIA+.
Nel caso specifico sente di essere stata presa da un certo protagonismo che trattava questi temi di grande portata come fossero pezzi di conversazione, anche velenosa, a un vernissage. Quindi sembrava più importante che lei dicesse di essere stata sessualmente con uomini e donne, privilegiando da ultimo una certa indecisione a parlare così tanto dei fatti suoi.
Sembra una cosa da nulla, ma Michela Murgia, in uno spaventoso riverbero di sincerità, nei dibattiti televisivi o sui social elencava punto per punto i problemi connessi alla nostra situazione politica, non tenendo conto che in questo modo metteva in un angolo un concetto basilare della democrazia, ovvero la capacità di fare una comunità di persone che fossero contro il patriarcato e contro la centralità etero normativa. Ma aveva poi paura che la comunità LGBTQIA+ le facesse una domanda che la teneva poi legata, ovvero fare un pubblico coming out. In questo dirsi gay o bisessuale non c’era la possibilità di rifiutare qualsiasi definizione per far prevalere il dubbio. L’indeterminatezza deve essere una condizione di libertà.
L’altro oggetto di discussione è proprio nel titolo del libro, Dare la vita, come è possibile accettare solamente il richiamo del sangue, fare un proprio figlio e crescerlo, mentre Michela Murgia pensava a vincoli di bene e di affetto che si sceglievano liberamente nella società, dove invece si continua a dire di una donna che è “in stato interessante”, quando in realtà della donna incinta interessa solo quello che porta in grembo? Questo è in assoluto il tema rilevante del pamphlet, come si possa dare la vita senza generare biologicamente, come i legami scelti possono essere più profondi, a volte, più autentici.
E anche su questa questione basilare Murgia non è riuscita a fare un discorso pieno di incognite, di domande sulla madre surrogata e sulla quantità di danaro che ci vuole quando si fa un contratto con dei genitori non fertili per natura o per scelta.
Ad esempio cosa succede alle coppie che hanno accettato di prendersi cura di un bambino, tramite un contratto, se il parto è gemellare o si è sicuri che il bambino sia affetto da sindrome di Down.
In realtà, questa donna coraggiosa, contraddittoria a volte, più autentica nel sollevare questioni che nel trovare le risposte, che latitano in un libro che supera di poco le cento pagine, ha posto in rilievo argomenti di grandissimo interesse. Ora tocca ad altre portare avanti queste idee in modo più comunitario e coeso.
Dare la vita
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